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L’ideazione di un modello economico adatto all’attuale fase storica non è certo impresa semplice (e rapida). Avverrà per gradi, sotto la spinta degli eventi e dei mutamenti successivi.
La Grande Salerno, il futuro non aspetta
La costruzione dell’Area Vasta è ineludibile se vogliamo essere adeguati al cambiamento; se intendiamo costruire un sistema urbano a scala diversa, più ampia, più aperta, che superi il limite della fisicità e faccia dell’adattamento plastico all’evoluzione il suo punto di forza.

di Lorenzo Criscuolo

E’ certamente vero che siamo nel pieno di un evento negativo e già la semplice percezione di questo evento determina un salto logico, individuale e poi collettivo, tale da definire il cambiamento, il sistema “nuovo” che mai è diretta e semplice evoluzione del “vecchio”.  La volontà di ripresa, forte in questi giorni, coincide con la speranza, direi il desiderio, di tornare al “prima” nell’illusione, evidente, che superato il vuoto, tutto ritorni uguale. Sarebbe un doppio errore. Prenderemmo un direzione sbagliata sprecando enormi risorse non rinnovabili sia in termini economici e finanziari sia ambientali e, cosa ancora più grave, avremmo perso un’occasione unica per cambiare strada, per immaginare un modello di sviluppo nuovo e diverso prima di arrivare al limite, al punto di non ritorno. L’ideazione di un modello economico adatto alla fase storica che attraversiamo non è certo impresa semplice e rapida; avverrà per gradi, per approssimazioni, sotto la spinta degli eventi e dei mutamenti successivi.  Nell’immediato sembra prevalere l’idea semplicistica di affidare alla leva finanziaria, alla disponibilità di capitali illimitati, il compito di fare ripartire un modello economico che mostra di non essere più adeguato in termini di bilancio globale.  In questi giorni il Paese sta dando avvio ad uno sforzo enorme per riprendere le attività produttive, per risollevarsi e tornare a produrre ai regimi ante-virus.  Le analisi degli economisti sono ben chiare rispetto alle necessità, in primis finanziare, delle imprese, poi organizzative (anche in chiave anti Covid-19), di politica industriale (difesa dei mercati, produzione, occupazione, rapporti sindacali, etc), soprattutto di definizione di nuovi contesti normativi e burocratici del tutto diversi rispetto agli attuali. Saranno utilizzate, per dare avvio al nuovo ciclo economico, risorse finanziarie ingenti , nazionali e dell’Unione Europea, che potrebbero essere affiancate da ulteriori capitali, anche rilevanti, se solo si riuscisse a collegare il notevole risparmio privato italiano con le industrie, le imprese, l’intero nostro sistema produttivo. Tutti coinvolti in un grande, realistico e realizzabile  “progetto-Paese” garantito da una guida politica fondata sulla condivisione di ben definiti obiettivi strategici che, per  vari e conosciuti motivi, ancora risultano irraggiungibili. Un progetto che incida anche sulla realtà sociale, che corregga le asimmetrie, i disallineamenti ormai evidenti e pericolosi; che parta dalla irrinunciabile premessa che la risorsa umana è centro e motore del progetto stesso.

Si tratta di ribaltare la logica e la cultura dello Stato; ogni singolo cittadino diventa motore e protagonista del cambiamento ed i comportamenti collettivi diventano il prodotto di una società adulta, responsabile, che da controllata diventa controllore effettivo, della classe dirigente, all’esito dei risultati.

Non è, principalmente, un problema di risorse; è un problema di capacità ideativa, di capacità realizzativa, di cultura legislativa, meglio di cultura in generale dove sia valorizzato, in concreto, l’impegno serio, la competenza, la serietà del comportamento, la sensibilità sociale, la solidarietà finalizzata. Per ultimo, ma non ultimo, l’impegno ecologico, la consapevolezza che questo sistema economico mondiale è vicino al limite; esso imploderà o sarà vittima della prossima pandemia ma, è evidente, non può reggere sotto il peso di miliardi di esseri umani.

In una parola: è necessario un cambio di paesaggio non solo materiale ma soprattutto morale, etico, concettuale rispetto all’individuazione del nuovo punto di equilibrio tra l’umanità ed il pianeta. In questo contesto, sotto il profilo economico e nell’ottica di un primo passo del lungo percorso che ci aspetta, è innegabile la rilevanza delle infrastrutture intese, in senso più largo possibile, non solo come espressione tecnologica ma quale strumento di accumulazione e moltiplicazione delle risorse, catalizzatore di energie ed emozioni, espressione ed immagine di una idea di sistema, luogo della sintesi della memoria storica e della proiezione futura. In una parola risulta rilevante, per riprendere il cammino, l’infrastruttura per eccellenza, la più antica ideata dall’uomo: la città  e  le reti  di città.

La città.

Il concetto di città si è evoluto, la città è infrastruttura complessa, è una macchina produttiva che assorbe energie e produce ricchezza; restituisce servizi, benessere, irradia  sul territorio conoscenza,  energia , idee, ed estende il suo perimetro non solo fisico ma anche immateriale, sociale, ambientale, su territori sempre più vasti. E’ una realtà complessa e fragile che si innerva in reti territoriali, funzionalmente caratterizzate, che si consolidano nell’Area Vasta quale dimensione territoriale, materiale e non materiale, all’interno della quale si definiscono le condizioni ottimali di vita, economica e sociale, di creazione di ricchezza e servizi, di equilibrio funzionale, gestionale  e, soprattutto ambientale.

Le infrastrutture non sono, quindi, le opere, piccole o grandi; caratteristiche della società industriale e post-industriale, con gli sprechi di sempre, figlie di una normativa complicata, farraginosa, fatta di mille procedure incastrate tra loro, di un nodo inestricabile di interessi contrastanti e di parti contrapposte che hanno perso il riferimento del  “primario bene collettivo”. Le infrastrutture devono essere “la infrastruttura”; cioè la rete di città declinata per specificità territoriali, per vocazione e funzione, per dimensione e posizione, e, nell’insieme, sistema sociale e relazionale, sistema economico e finanziario, punto di equilibrio bio-ambientale. Da questo “luogo”, a dimensione e definizione multipla, può essere fatto il primo passo, verso la rimessa in circolo dei flussi produttivi e finanziari, secondo una visione innovativa finalizzata ad un utilizzo del territorio rispettoso del “bilancio delle energie” e non limitato dalla fisicità degli insediamenti. La realizzazione di questo nuovo concetto di “infrastruttura”, della “città allargata”, che si materializza nell’Area Vasta, ci pone di fronte ai reali e tangibili problemi del Paese: consistente riduzione del Pil, elevatissimo livello di indebitamento, scarsa liquidità delle imprese, contrazione della domanda dei mercati mondiali che si aggiunge alla profonda crisi del mercato interno, inefficienza ed elevato costo della Pubblica Amministrazione a fronte di servizi al cittadino insufficienti, pericolo di perdita di occupazione e di competenze, crollo degli investimenti e della capacità  produttiva  nonché  di competitività  e  di quote di mercato; in una parola :  ”recessione”.

Di fronte a questa realtà, già presente, non resta che l’ideazione, la capacità immaginifica di intuire e pensare il futuro, di cogliere il salto logico della storia con scelte innovative e coraggiose. Cioè voltare pagina con un nuovo e complessivo modello di Paese che trovi la sua fisicità nella “infrastruttura”, nel modello territoriale a scala variabile che concretizza un insieme di territori, di filiere produttive, economiche, amministrative, tali da rigenerare produttività e competitività, efficienza e qualità, valorizzazione delle nostre peculiarità. Per raggiungere questo obiettivo disponiamo di tutto ciò che occorre, di tutti i fattori necessari. Ma data per acquisita la disponibilità di risorse, anche all’occorrenza finanziarie (penso all’enorme patrimonio pubblico e privato, alla dimostrata capacità di onorare il servizio del debito, al necessario coinvolgimento del diffuso capitale privato  per il finanziamento degli investimenti pubblici e privati, al significativo avanzo primario ante-virus) solo con esse non si risolve la questione fondamentale: attuare, in tempi storicamente brevissimi, un rilevante cambio di passo!

Occorre, quindi, progettare, programmare, operare scelte fondamentali, ma anche, e finalmente, realizzare, concretizzare, risolvere. Per questo abbiamo bisogno di recuperare la capacità di analisi e di sintesi, di direzione strategica, di generare una classe dirigente competente e responsabile, di abbandonare vecchi slogan (ancora sessantottini) ed obsoleti preconcetti; abbiamo bisogno di guardare avanti semplificando i processi decisionali, tralasciando le inesauribili sequele di passaggi successivi, di controlli dei controllori; dobbiamo spostare il momento della verifica da preventivo e formale  a momento, al massimo possibile, successivo e rigoroso, visto che non solo non abbiamo evitato sprechi e reati ma ci abbiamo sommato ritardi, maggiori costi ed opere incompiute.

Si tratta di passare da una Pubblica Amministrazione formale ed improduttiva ad una struttura pubblica sostanziale e legata alla valutazione del risultato. Dobbiamo rivalutare merito e competenza, efficienza e qualità; migliorare significativamente la capacità realizzativa del sistema; non  eliminare il principio della responsabilità ma, al contrario, ampliarlo ed approfondirlo ridefinendolo non come pedissequa osservanza di procedure, ormai quasi impossibili da espletare in tempi compatibili con la sopravvivenza della nazione, piuttosto collegarlo al risultato. Ciò significa attingere alle principali risorse umane e materiali del Paese, raccogliere intorno alle nostre principali filiere tecnologiche tutte le capacità produttive, creare ed organizzare una efficace e snella direzione strategica degli investimenti (struttura operativa per utilizzo fondi Ue, nuova Iri quale contenitore immateriale di capacità imprenditoriale pubblica e privata), semplificare il sistema politico ed amministrativo, spostare i controlli (veri e rigorosi) alle fasi in corso d’opera ed ex-post, aprirsi  ad altre esperienze internazionali, implementare subito il massimo possibile di nuove tecnologie (Ict), privilegiare la flessibilità e la produttività. Ma, soprattutto, porre il fattore umano al centro del progetto Paese! La scelta, già tante volte inutilmente praticata, di percorrere scorciatoie adottando soluzioni tampone ci porterebbe, come sta accadendo, al protrarsi di questo lento declino fino all’inevitabile esito nefasto.

Nel campo delle infrastrutture, ad esempio, viene con forza indicata la soluzione del commissario, della figura speciale extra legem utilizzata per il Ponte Morandi, come metodo da replicare all’infinito. Ma di commissari è piena la storia delle opere pubbliche in Italia ed i risultati quasi mai sono stati rilevanti, spesso neanche positivi.  Genova ha funzionato perché il commissario era un sindaco in carica, il controllo dei cittadini pressante; era in gioco la sopravvivenza economica della città e sono state coinvolte le filiere fondanti dell’economia del Paese (appunto!).

In sintesi,  si è realizzata la convergenza tra i tre principali fattori di ogni iniziativa riuscita: la volontà politica, la capacità tecnico-amministrativa, la capacità tecnologica e realizzativa. La semplice, automatica, replica di questo contemporaneo insieme di fattori, a scala nazionale, è impossibile per cui non ci sarebbe soluzione ai problemi, complessi e diffusi, da cui il Paese è soffocato.  D’altronde, aver risolto la principale emergenza in quell’area non risolve e non risolverà le persistenti difficoltà del più vasto territorio della Grande Genova e della Liguria; troppo a lungo, come nell’intera nazione, si sono rimandate scelte ed investimenti fallendo, ad oggi, l’obiettivo, già di per sè difficile, di dare almeno avvio al riequilibrio delle funzioni sul territorio.

La Grande Salerno.

Torna qui il concetto della riflessione multidisciplinare e complessiva, dell’Area Vasta, che applicato, ad esempio, al territorio che più ci appartiene, ci riporta alle  esperienze dell’area salernitana, ma, andando oltre, all’idea della Grande Salerno, della città allargata, della infrastruttura complessa quale insieme di reti e funzioni diffuse.  La città dinamica che diventa infrastruttura di sviluppo locale sovrapponendo reti materiali ed immateriali alle funzioni. La realizzazione di questa infrastruttura è un problema di dimensione sociale, economica, produttiva, sistemica, e poi territoriale ed istituzionale.  Più chiaramente la costruzione dell’Area Vasta è ineludibile se vogliamo essere adeguati al cambiamento; se intendiamo costruire un sistema urbano a scala diversa, più ampia, più aperta, che accolga specificità e punti di forza con elaborazione continua; che crei competitività e produca ricchezza, superi il limite della fisicità e faccia dell’adattamento plastico all’evoluzione il suo punto di forza.

A partire dalla seconda metà del secolo scorso l’idea di sviluppo si è basata sulla città della immigrazione e della rendita fondiaria, poi della città industriale (la Milano del Sud), della città europea, della città turistica.  Ora lo scenario, il paesaggio, è cambiato; ora siamo chiamati a costruire, senza indugio, una realtà nuova; costruire nei fatti la città rete, la città larga, l’infrastruttura complessa e multifunzionale, adattativa e flessibile, in continua metamorfosi, capace di ridefinirsi di volta in volta seguendo i flussi del cambiamento, che produce rinnovando ogni volta i suoi confini secondo le filiere che si compongono e scompongono alla bisogna, capace di esaltare i valori ed i rapporti della complementarietà e della omogeneità. L’Area Vasta capace di immaginare e realizzare una nuova portualità o dotare l’esistente di un sistema retroportuale diffuso; la riorganizzazione dei flussi su gomma con nuovi by-pass tra le autostrade e rivisitando le gerarchie di quelle attuali (autostrada urbana); la traslazione a monte dell’alta velocità e l’ampliamento gestionale della ferrovia urbana sull’esistente (Nocera-Battipaglia e Salerno-Fisciano-S.Severino); l’aereoporto (finalmente!); il piano della mobilità generale con adeguamento  di  assi  e  direttrici; i  parcheggi  di  scambio  e  l’attuazione   della  mobilità  elettrica (colonnine, incentivi,etc); soprattutto un sistema Ict (tecnologie informazione e comunicazione) per realizzare una smart city, cioè un territorio connesso al 5G, all’intelligenza artificiale, dove l’insieme delle tecnologie renda possibile la gestione del territorio da remoto, la mobilità a guida autonoma, in sintesi il salto nel futuro.  Ed è chiaro che questo cambio di passo porta con se, come naturale esito, un sistema riallineato sotto il profilo bioambientale grazie, ad esempio, al ridotto inquinamento, alla enorme e precisa capacità di controllo, al possibile monitoraggio continuo e costante.

Il futuro è molto più vicino di quanto si creda ed il coronavirus potrebbe essere, soprattutto per il nostro Paese, l’acceleratore esterno di un cambiamento indispensabile e non più rinviabile. E’ il momento di comprendere che solo nell’avanguardia e nell’innovazione continua troveremo le ragioni della nostra sopravvivenza.

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