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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Aumenta la fascia aperta di esclusi e auto-esclusi che si sono “ritirati” da ogni tipo di frequentazione non strettamente necessaria.
La dimensione “sociale”? Si è persa, viaggia insieme alla pandemia
Le relazioni sono diventate meno “larghe”, più “asciutte”, più indirizzate all’interesse primario o prevalente. E per la maggior parte delle persone - quasi tutte - non “fa niente”, “è andata così”.

Uno degli effetti prodotti dall’aggressione pandemica è il lento, ma netto e chiaro, approccio “difensivo” verso il “nuovo” che appare e si manifesta come se, invece, nulla fosse mai accaduto. In molti casi questo “nuovo” dilaga e si impone – nelle campagne pubblicitarie, nella calendarizzazione degli eventi, nell’attivazione delle famose agende di appuntamenti “pubblici” a prescindere dal contesto sanitario eccetera eccetera –  lasciando indietro tutto il resto. Fino a determinare il permanere, con una “visibilità” più o meno percepibile all’esterno, di quelle dinamiche fondate sulla predominanza degli interessi  – a partire, ovviamente, economici – che ha “cancellato”, o più insistentemente relegato nelle “retrovie”, per così dire, molto altri aspetti che avevano, sebbene in maniera minima, anche una rilevanza sociale. In buona sostanza, mentre continua la “produzione” di “buone relazioni” con un unico antico obiettivo – fare business o, comunque, raggiungere uno scopo di tipo economico, come anche mantenere in piedi il lavoro – si allarga, invece, per tanti motivi, la macchia sociale che non ha più interesse (ma anche capacità e volontà) a perseguire questi scopi: preferisce, nel migliore dei casi, coltivare la propria solitudine, pur lavorando e mantenendo i basilari e necessari contatti, oppure ha già iniziato a “rarefarsi” e si avvia in quella dimensione che presto si trasforma, fino a diventare (auto) esclusione, in molti casi permanente.

Tante volte queste persone arrivano a non manifestarsi, a “organizzare” la propria “esclusione”, in maniera logica e inappuntabile. Tante volte, quasi manca anche il minimo indizio per comprendere bene come, invece, si è giunti all’isolamento vero e proprio non solo di singole persone, ma di tante micro-comunità che di fatto il “contesto sociale” più ampio ha “perso di vista” o ha, in realtà, messo da parte, senza nemmeno accorgersene più di tanto.

E’ proprio su questa mancanza di autentica “dimensione sociale” dell’agire e del manifestarsi di persone e famiglie – fenomeno molto ampio e diffuso da molti anni e ben prima delle emergenze pandemiche – che dovremmo riflettere e, soprattutto, provare ad agire molto di più di quanto facciamo o non facciamo proprio, perché il sintomo più devastante che si coglie in ogni ambito un tempo relazionale è sempre strettamente collegato al disagio permanente e nascosto che ha conquistato ogni piazza, strada, città. Anche perché è sempre più insistente il fenomeno della presenza/assenza di giovani, adulti, anziani che proprio non riescono a trovare quell’accoglienza che, pure, avrebbe il senso più profondo di una dimensione di ascolto indispensabile.

A riflettere bene, sembra permanere con insistenza un nuovo tipo di socialità: le relazioni sono diventate meno “larghe”, più “asciutte”, più indirizzate all’interesse primario o prevalente. E per la maggior parte delle persone – quasi tutte, noi compresi più spesso di quello che vogliamo pensare – non “fa niente”, “è andata così”.

Non abbiamo neanche più l’intelligenza e la forza di pensare che – se non “reagiamo” – intorno a noi, a guardare bene, ci sarà, ancora di più, tanta (troppa) tristezza.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

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