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La crisi “taglia” 500 milioni di ricchezza

Nel periodo compreso tra il 2007 ed il 2014 il valore aggiunto della provincia di Salerno è diminuito di 510 milioni di euro, pari al -2,9% (nostre elaborazioni su dati Istat).

Il crollo del manifatturiero (-24,3%) e delle costruzioni (-15,3%), la crescita dei servizi (+1,6%), il boom dell’agricoltura (+9,2%).

A conti fatti nel 2014 il valore aggiunto (a prezzi correnti) della provincia di Salerno è stato pari a 16,9 miliardi di euro (l’1,16% del totale nazionale).

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Quanto vale la ricchezza prodotta dal sistema economico in provincia di Salerno? Quali sono i “confini” in termini di peso complessivo dei vari comparti nel nostro territorio? E, soprattutto, quanto è costata la crisi alle aziende nei lunghi anni della recessione? Dare risposte a questi interrogativi consente di orientarci meglio nella “geografia” di interpretazioni, spiegazioni, “pretese” della politica e degli attori sociali che evidentemente non tengono sempre conto della realtà.

Iniziamo dal “costo” della crisi. Nel periodo compreso tra il 2007 ed il 2014 (ultimo anno per il quale sono disponibili i dati) il valore aggiunto della provincia di Salerno è diminuito di 510 milioni di euro (nostre elaborazioni su dati Istat. Un parametro che da solo fornisce il senso profondo della devastazione accaduta. A conti fatti, nel 2014 il valore aggiunto (a prezzi correnti) è stato pari a 16,9 miliardi di euro (l’1,16% del totale nazionale).

La “gerarchia” dei comparti.

Se scendiamo nel dettaglio degli spicchi della torta grafica nella quale si ricompongono le singole percentuali, alla formazione del valore aggiunto provinciale hanno contribuito il settore primario (agricoltura, silvicoltura e pesca) per il 4,6%, il settore secondario (industrie estrattive, manifatturiere e delle costruzioni) per il 17,2%, e il settore terziario (le varie tipologie di servizi) per il restante 78,2%. Rispetto alla composizione del valore aggiunto nazionale, nel Salernitano si osserva un maggior peso delle attività agricole (+1,5%) e dei servizi (+9,5%), a fronte di un’incidenza minore dell’attività industriale (-11%). La variazione del valore aggiunto provinciale nel periodo 2013/2014 è del -0,3%, ma gli andamenti sono piuttosto differenziati a livello di settore economico. Infatti, i settori primario e secondario hanno sperimentato riduzioni pari al 9,4% e al 2,8%, rispettivamente, mentre nel terziario si è avuto un aumento dello 0,9%.

Il crollo del manifatturiero (2007/2014)

Maggiori e utili informazioni emergono prendendo in considerazione l’orizzonte temporale 2007/2014, che coincide con la fase più acuta della crisi economico-finanziaria globale. In questo lasso di tempo il valore aggiunto provinciale si è ridotto (sempre a prezzi correnti) del 2,9% (510 milioni di euro, come dicevamo prima). Ma è stato il crollo del manifatturiero (-21,2%) a determinare una deriva negativa così consistente, mentre i servizi hanno visto crescere il valore aggiunto dell’1,6% e l’agricoltura ha sperimentato un considerevole +9,2%. La profonda regressione dell’industria riguarda indistintamente i suoi vari sotto-settori: -20,7% per l’attività estrattiva, di fornitura di acqua e gas, e del trattamento dei rifiuti; -24,3% per il manifatturiero vero e proprio; -15,3% per le costruzioni.

Il terziario.

Nell’ambito dei servizi va, però, notato che il dato positivo relativo al periodo 2007-2014 si deve esclusivamente al rilevante incremento conseguito nell’ambito delle attività di commercio, riparazione auto/moto, trasporti, alloggio e ristorazione (+30,8%). Tutti gli altri sotto-settori dei servizi sperimentano invece riduzioni del valore aggiunto, sebbene con differenze nei valori percentuali: -46,7% per i servizi di informazione e comunicazione; -14,3% per le attività finanziarie e assicurative; -3,5% per quelle immobiliari; -10,1% per quelle professionali e di amministrazione; -3,2% per il ramo dei servizi di amministrazione pubblica, istruzione e sanità; -3,3% per l’intrattenimento e gli altri servizi.

Lo scenario.

In base alle dinamiche sopra sintetizzate, risulta molto chiaro che è venuto meno in maniera consistente l’apporto dell’industria in senso stretto (-24,3%) e delle costruzioni (-15,3%), mentre vanno segnalate le buone perfomance delle varie attività di commercio (sebbene afflitte da un elevato turn over che impone di valutare la strutturalità del ciclo positivo), riparazione auto/moto, trasporti, alloggio e ristorazione (+30,8%). Discorso a parte merita l’agricoltura, che ha fatto un balzo del 9,2%. In questo caso siamo di fronte ad un cambiamento in profondità: l’accelerazione delle innovazioni di processo (IV gamma in primis) si intrecciano con l’esplosione delle filiere orientate al cibo di qualità fortemente richiesto nelle diete improntate alla salubrità dell’alimentazione. Il primario, insomma, beneficia – oltre che di una nuova attenzione da parte di imprenditori under 35 portatori di un approccio managerialmente ad alto contenuto qualitativo – di un mutamento generale negli stili di vita. Basti pensare alle dinamiche dei consumi dell’ortofrutta biologica (che crescono a ritmi elevati nella grande distribuzione organizzata) o all’aumento dell’export made nella Piana del Sele diventata l’orto d’Europa.

I riflessi sull’occupazione.

Per tentare di comprendere quali ricadute possono avere avuto le dinamiche precedenti sulle sub-aree del territorio salernitano, si può lavorare all’elaborazione di una mappa dell’occupazione fornita dai due censimenti Istat (quello dell’agricoltura del 2010, e quello di industria e servizi del 2011).

Il buon andamento del settore agricolo nel periodo 2007-2014 si è dunque riverberato in special modo nel Cilento (in cui ricade il 25,1% del totale provinciale delle persone che lavorano in aziende agricole e il 30,7% degli addetti del Salernitano impegnati in imprese dedite all’agroalimentare e alla pesca), nell’area Calore, Alburni, Tanagro e Alto-Medio Sele (dove i valori precedenti ammontano rispettivamente al 35,8% e all’11,3%) e nella piana del Sele (23,3% e 8,1%).

Al contrario, laddove è più diffuso il tessuto industriale, si manifestano i rischi di regressione dell’occupazione. Il preoccupante calo del valore aggiunto nel settore secondario colpisce soprattutto l’Agro Nocerino Sarnese, i cui addetti delle imprese attive – in base all’ultimo censimento – ammontano al 29,1% del totale provinciale (con una punta del 33,1% con riferimento alle imprese manifatturiere in senso stretto). Seguono la Piana del Sele (13,2% degli addetti totali del salernitano nell’industria) e Salerno capoluogo (11,3%). Tuttavia, ripercussioni importanti si sono inevitabilmente avute anche nelle zone in cui è alta la quota dei lavoratori locali occupata nel secondario: Calore, Alburni, Tanagro e Alto-Medio Sele (40,3%), Valle dell’Irno (39%), Valle del Picentino (38,9%).

Ma, nello stesso tempo, lo stesso Agro Nocerino Sarnese ha potuto giovarsi della fase positiva del comparto dei servizi. Gli addetti in tale segmento si concentrano, infatti, proprio nell’Agro (24%), oltre che nel capoluogo (20,6%). Seguono, poi, la Piana del Sele (15,3%) e il Cilento (10,9%). Per il settore terziario, il cospicuo incremento del valore aggiunto nel periodo 2007-2014 per il ramo commerciale in senso lato – il cui peso totale in termini di addetti è ragguardevole e pari al 41,7% provinciale, che cresce al 61,2% se si considerano i soli servizi – sicuramente ha impattato in modo positivo nelle aree precedenti, cui vanno aggiunte anche la Costa d’Amalfi e il Vallo di Diano, in cui è pure di un certo rilievo la quota di addetti nei servizi che opera in questo specifico sotto-settore (in particolare, nel Vallo di Diano oltre il 48% degli addetti locali opera in questo specifico sotto-settore).

I “rami” con il segno meno del terziario.

Ma, come detto, nel terziario si ritrovano diversi “rami” che hanno visto contrarsi il valore aggiunto nell’intervallo temporale 2007-2014 e che al contempo occupano percentuali importanti di lavoratori. E’ il caso della riduzione del 10,1% verificatasi nell’ambito delle attività professionali e amministrative (in cui lavora il 13% degli addetti della provincia). In questo caso ad essere colpiti sono soprattutto il capoluogo Salerno (la quota di lavoratori dediti a questo tipo di impiego è il 26,8% del livello totale provinciale) e l’Agro Nocerino Sarnese (24,1%). Stesso trend nelle attività finanziarie e assicurative, che hanno visto contrarsi il valore aggiunto del 14,3%. In questo ambito la ripercussione maggiore si è avuta nel capoluogo (in cui è presente il 24% degli addetti totali del salernitano) ma anche nell’Agro (19,6%), nella Piana del Sele (14,7%) e nel Cilento (12,5%). Va detto tuttavia che questa branca di attività economica genera soltanto l’1,6% del valore aggiunto provinciale. Anche i servizi di informazione e comunicazione, che si sono caratterizzati per il maggiore calo del valore aggiunto tra il 2007 e il 2014 (-46,7%), hanno un ruolo secondario nell’economia provinciale, occupando solo l’1,3% di addetti del Salernitano, i quali tra l’altro sono concentrati in special modo a Salerno (42%).

La prospettiva.

Se si volesse individuare il percorso evolutivo dell’identità produttiva territoriale, è necessario mettere in risalto che la “filiera asimmetrica” (Censis) agricoltura/turismo/commercio/servizi è sicuramente quella potenzialmente più in grado di dare maggiori e significative risposte in termini di crescita del valore aggiunto e dell’occupazione. La piena ripresa del manifatturiero appare al momento più difficile e complessa, anche se – è evidente – l’industria sostenibile e compatibile, green oriented, si configura come una nuova frontiera strategica per la stabilizzazione delle dinamiche del reddito in provincia di Salerno. Un territorio con una popolazione di oltre un milione di abitanti non può prescindere da un settore secondario in fase evolutiva e non regressiva.

Paolo Coccorese

Ernesto Pappalardo


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