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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Nonostante la grave recessione economica non si individuano sostanziali cambiamenti
La crisi non scalfisce la “palude” salernitana
L’invasività della politica e l’incapacità di individuare almeno alcune priorità condivise continuano ad incidere negativamente sulla captazione dei fondi europei necessari alla realizzazione di una strategia di crescita strutturale del territorio

Mentre il “dibattito” in corso sui modelli di sviluppo locale si attarda nel trovare il “giusto equilibrio” tra spinte dell’alto e dinamiche dal basso per individuare l’unico “percorso” non più rinviabile – quello capace, cioè, di fare affluire sui territori “ossigeno” (investimenti e nuova liquidità) – la provincia di Salerno continua a sopravvivere dall’inizio della crisi perdendo posti di lavoro stabili e, soprattutto, senza avere almeno un’idea concreta di cosa fare da “grande”. Non stupisce neanche più, per la verità, la stagnazione “metodologica” e di contenuti (fatte rarissime e quasi solitarie eccezioni) che affligge da tempo l’intero universo di quelli che una volta si potevano definire “attori” dei percorsi di crescita. Il fatto è, però, che mentre non si muove foglia, le imprese continuano a combattere la loro guerra senza alcun supporto dei livelli istituzionali, che, pure, in qualche modo dovrebbero battere un colpo. In ogni caso, almeno sul piano della declamazione delle problematiche sono stati compiuti passi da gigante: non c’è convegno o workshop (oggi si chiamano anche così, ma sempre di convegnistica si tratta) nel corso del quale non si sgranino elenchi di “criticità” che vanno “al più presto affrontate”. Ma, poi, non si riesce a mettere nero su bianco uno straccio di “appunto” di cose da fare effettivamente condiviso da tutti. E, alla prova dei fatti, sull’unico tavolo che conta – quello della Regione Campania (peraltro ammaccato da recenti approfondimenti istituzionali sul suo bilancio) – Salerno non c’è proprio più. Non c’è sotto il profilo più importante: non risulta, cioè, percepibile alcun disegno chiaro e fondato di politica industriale in grado di sostenere il rilancio dell’identità produttiva dei diversi cluster fortunatamente presenti nelle varie sub/aree provinciali. Non si tratta di riproporre per l’ennesima volta schemi di ragionamento ben noti, ma di articolare, invece, un disegno di vera e propria “rinascita” dell’economia salernitana intorno ad un nucleo di idee e di proposte capaci di trovare l’indispensabile riferimento finanziario nei fondi strutturali europei. L’occasione della nuova programmazione (2014/2020) appare già circondata da una cortina di nebbia tale da non alimentare grandi speranze. Ma questo non significa che non ci si debba porre il problema di non arrivare di nuovo a Napoli in ordine sparso e con il cappello in mano, quando, invece, è pieno diritto dei singoli territori provinciali auspicare interventi organici e non distonici rispetto ad un quadro d’insieme che proprio “dal basso” dovrebbe essere tratteggiato in maniera approfondita e compiuta. Pare, però, che anche questa volta ognuno farà corsa a sé. Nessuno – neanche la “risorta” Amministrazione Provinciale, per legge a termine (ma non si capisce bene quanto durerà l’esistenza in vita) – al momento sembra disponibile per un discorso molto distante dalla solita ed insopportabile guerriglia di poltrone e poltroncine. Evidentemente il tornaconto politico/elettorale non è dei migliori: perché caricarsi l’onere di una mediazione difficile e complessa quando si possono ottenere consensi andando nella direzione opposta? E cioè quella della frantumazione dei rivoli finanziari in modo da accontentare più o meno tutti quelli che fanno parte del proprio schieramento? Ma anche su questo punto occorre una sottolineatura: non si capisce più bene quali siano i veri schieramenti. Nel senso che, mentre in altre aree della regione, quando ci sono in ballo finanziamenti strategicamente rilevanti per lo sviluppo delle comunità che rappresentano, politica e partiti se ne infischiano delle divisioni e degli scontri nei quali vivono quotidianamente, qui da noi vale la regola contraria. Se il “vantaggio” politico o partitico (o, addirittura, delle singole leadership) non si può capitalizzare nel proprio schieramento, è meglio che quell’opera, quel progetto o perfino quella idea di sviluppo non ottenga il sostegno finanziario che, pure, gioverebbe non poco alla nostra disastrata economia. Si potrebbe ricorrere ad innumerevoli esempi, ancora pienamente in corso, ma non è questo il punto del ragionamento. La verità è che esiste un tale groviglio di relazioni quasi mai virtuose e di invasioni di campo della politica (ormai neanche più minimamente segnalate da chi le subisce), che alla fine si paralizza ogni cosa. Ed ecco che a Napoli si arriva in ordine sparso e con il cappello in mano. Quanto deve essere chiesto perché dovuto, diventa, invece, quasi un miracolo di chissà quale astuta diplomazia. Uno stato di cose davvero desolante. E, soprattutto, quasi del tutto immodificabile. Senza parlare delle ulteriori devastazioni che produrrà (e sta già producendo) la campagna elettorale per le regionali di primavera.
ERNESTO PAPPALARDOdirettore@salernoeconomy.it

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