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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

La deriva “leaderistica” della politica e la perdita di identità della società di mezzo
La crisi della “rappresentanza” aggrava il declino dei territori
De Rita: Non bastano lobbismo e “pensiero politico”, necessario tornare alle origini, recuperare il rapporto con la base. Di Vico: Indispensabile la “produzione di soluzioni”

In questo “promesso Primo anno della ripresa” che “assomiglia molto al Sesto anno della crisi” (copyright Dario Di Vico, Corsera, sabato 15 febbraio) appare sempre più chiaro che la deriva leaderistica ed apicale della politica ha, ormai, intrapreso la strada della semplificazione dei processi decisionali bypassando in senso verticale ogni forma effettivamente importante e non rituale (o, addirittura, capace di incidere realmente sulla decisione finale) di dialogo dal basso. Insomma, l’ansia di governabilità ha in qualche modo quasi del tutto posto in discussione il ruolo della rappresentanza soprattutto locale. In altre parole – ha spiegato con la solita acutezza Giuseppe De Rita sul Corsera di domenica 16 febbraio – “la politica non può guardare in basso, alla rappresentanza degli interessi, per la semplice ragione che tale rappresentanza è in crisi agonica”, (…) “nel mondo sindacale come in quello datoriale”. E’ in atto, quindi un processo bipolare (politica/rappresentanza) di estrema gravità, di “perdita” della consapevolezza delle identità socio/produttive dei territori, che porta direttamente alla dissoluzione di una “visione” comune delle problematiche da affrontare al fine di raggiungere l’elaborazione condivisa di nuovi modelli di crescita in grado di rimettere in moto le economie dei sistemi di sviluppo e delle agglomerazioni industriali. “Se non ha processi di rappresentanza – ha scritto De Rita – una società non funziona, né nella sua quotidiana fisiologia, né nel suo dialogo con la politica e le sue decisioni”. Ed è proprio questo il passaggio/chiave che lucidamente spiega la deriva sistemica che ha preso piede in maniera sempre meno controllabile nel Mezzogiorno ed in quasi tutto il Paese. Da un lato il leaderismo auto/referenziale della politica senza più i partiti – il caso della defenestrazione di Enrico Letta è un dato di fatto esemplare in questo ambito di riferimento – dall’altro la ricerca della costruzione di un vero e proprio “pensiero politico” dell’alta dirigenza della rappresentanza (spiega sempre De Rita) che in questo modo è convinta di poter contare politicamente. Ed ancora De Rita evidenzia anche un altro tallone d’Achille della rappresentanza, identificandolo nelle strutture organizzative “che ritengono – rimarca – che si debba vivere terra terra, nel lobbismo più mirato, con potere degli uffici che alla lunga connota la rappresentanza come azione puramente corporativa”. In questo modo i rischi che si corrono sono molteplici: il debordare della tecnocrazia governativa ed eurocentrica che occupa spazi di potere effettivo nel momento delle decisioni sostanziali; lo scollamento progressivo tra le istanze reali dei singoli territori ed i processi di selezione dei soggetti politico/istituzionali che sulla carta dovrebbero incarnarle e sostenerle nelle sedi competenti. L’appello di De Rita è al recupero delle origini delle varie forme di rappresentanza, alla riscoperta della piena sintonia con le proprie “basi”, senza dare la sensazione di appartenere in qualche misura al mondo delle “caste” che si caratterizzano soprattutto per i costi che producono sulle spalle dei “rappresentati”, piuttosto che per la capacità di esprimerne le problematiche. Ed è Dario Di Vico ad indicare la soluzione più adeguata alla complessità dello scenario che si è andato componendo in questa quasi totale disarticolazione del mosaico dei corpi intermedi. “La vera moneta da rimettere in circolazione – ha scritto sul Corsera (15.02) – di cui anche la rappresentanza ha urgente bisogno, è il problem solving, ovvero la produzione di soluzioni. Il resto lo abbiamo ampiamente già visto e non funziona”.ERNESTO PAPPALARDO
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