Sono cambiate tante cose. Basta andare con la mente a prima della grande frenata del marzo 2020 per rendersi conto di come la strada intrapresa non era minimamente prevedibile sul piano dei comportamenti che, poi, hanno preso forma ed appaiono, ormai, cristallizzati e difficilmente mutabili. In altre parole, tutto quello che si è radicato, è destinato a restare bene impresso ancora per molto tempo. Un solo esempio, ma molto concreto: “Per difendersi dagli aumenti 8 italiani su 10 (81%) hanno preso l’abitudine di fare una lista ponderata degli acquisti da effettuare per mettere sotto controllo le spese d’impulso (Coldiretti/Censis)”. Ma sono cambiati “anche i luoghi della spesa con il 72% degli italiani che si reca e fa acquisti nei discount, mentre l’83% punta su prodotti in offerta, in promozione”. Perché “le famiglie vanno a caccia dei prezzi più bassi anche facendo lo slalom nel punto vendita, cambiando negozio, supermercato o discount alla ricerca di promozioni per i diversi prodotti”.

E’ evidente che il calcolo delle convenienze (non solo strettamente economiche, ma anche dal punto di vista comportamentale) è, ormai, imperante, ma l’estensione massiccia di questo approccio, per esempio, alla metodologia della spesa, ha preso, se così si può dire, il sopravvento, fino ad influenzare profondamente il mercato dell’alimentare nel momento più specifico degli acquisti. L’estensione di moduli comportamentali specifici si è, quindi, già rivelata molto ampia e strutturata, al di là delle stesse abitudini di risparmio e di propensione al contenimento della spesa del singolo o della struttura della famiglia. Né appare un fattore determinante, nei casi – naturalmente – che lasciano emergere uno specifico comportamento al di là della effettiva predominanza del quadro economico, il calcolo preventivo del vantaggio della spesa.

Il conseguimento di un effettivo risparmio, in altre parole, non è collegato alle dinamiche reali del “portafoglio familiare”. Ha preso il sopravvento una tipologia di comportamento che non ha una connotazione precisa dal punto di vista del raggiungimento di un obiettivo riscontrabile, ma si è, invece, affermata e piantata nel tempo una nuova consuetudine “virtuosa”, che prescinde, in non pochi casi, dalla scelta economica.

Siamo, quindi, di fronte all’adozione di comportamenti non connessi ad una logica specifica di “convenienza”, ma, a prescindere, utile: adeguarsi ad un costume sociale che “certamente” avrà effetti positivi. Un costume, quindi, destinato a cogliere un consenso ben al di là delle scelte di “sacrificio” effettivamente motivate e portate avanti. E questo è solo il caso, naturalmente, molto diffuso e motivato da un’ampia platea che in esso si ritrova per una necessità specifica, ma non mancano altre platee (molte ampie) che si cimentano in comportamenti imitativi senza una chiara spiegazione razionale. Molti analisti identificano questi modi fare in aree sociali ben identificate che, in questo modo, adottano modi di fare compensativi di altri deficit psicologici che la pandemia ha senza dubbio generato.

E’ evidente, quindi, che le tipologie di crisi generate dal fattore pandemico sono molto più ampie di quello che siamo portati a pensare e si intrecciano ora con altre emergenze che sono avanzate oltre le previsioni: dinamica bellica (Ucraina) e, particolarmente nell’ultimo periodo, grave crisi umanitaria connessa ai fenomeni di emigrazione.

Quando finirà tutto questo?

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it