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Le indicazioni emerse dal convegno Aifos svoltosi a Napoli lo scorso 5 giugno (D. Lgs. 231/01).
Imprese tra responsabilità e rischi
Magistrati, operatori del diritto, formatori e manager a confronto. "Ma è mai possibile che una legge del 2001 sia ancora così sconosciuta agli attori del mondo produttivo?".

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente approfondimento su una problematica di assoluta rilevanza per la gestione delle imprese: l’applicazione del D. Lgs 231/01.
diLuca Iovine*
Il D.Lgs 231/2001 appesantisce la questione del rischio di compliance e cioè il rischio che un’azienda non sia conforme a determinate norme, regole o standard. La compliance normativa indica il rispetto di specifiche disposizioni impartite dal legislatore, da autorità di settore, da organismi di certificazione nonché di regolamentazioni interne alle società stesse. Il mancato adeguamento o l’inefficace utilizzo di tali modelli determina una posizione di debolezza dell’impresa all’emergere di specifici reati.
Il D.Lgs 231/2001 estende, infatti, alle persone giuridiche (le imprese) la responsabilità per reati commessi in Italia ed all’estero da persone fisiche che operano per loro conto. Nel caso in cui un dipendente, un collaboratore, il legale rappresentante di un’impresa commetta un reato si aprono distinti e paralleli procedimenti verso due tipologie di soggetti: 1) penale e civile nei confronti della persona che ha commesso il reato; 2) amministrativo nei confronti dell’organizzazione per cui la persona opera. Tale responsabilità può comportare pesanti sanzioni sia economiche che interdittive, fino al blocco definitivo dell’attività dell’impresa. L’introduzione anche di reati colposi (collegati a sicurezza sui luoghi di lavoro e normativa ambientale) ha reso ancora più probabile per le aziende, vedersi applicate sanzioni che si aggiungono a quelle comminate alla persona fisica.
Ma come è possibile che una legge del 2001 sia ancora così sconosciuta agli imprenditori? Lo ha spiegato il Procuratore Generale Raffaele Guariniello nell’ambito del convegno svoltosi a Napoli venerdì 5 giugno 2015 “Responsabilità d’impresa D. Lgs. 231/01: opportunità e vantaggi competitivi per le imprese” organizzato dall’AIFOS (Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro). L’importanza della 231/01 è cresciuta con l’inserimento della normativa sulla sicurezza del lavoro tra i reati che implicano responsabilità amministrativa, “tuttavia la prima sentenza di condanna definitiva per infortunio sul lavoro è quella contro la Thissen Krupp che è del 2014. Solo da allora la visibilità della 231 è cresciuta agli occhi degli imprenditori anche se non ancora in modo molto diffuso. E non mi spiego come l’applicazione del Manuale di Organizzazione e Gestione (MOG) sia ancora così poco estesa tra le imprese”. La sentenza nei confronti della Thissen Krupp è stata molto pesante poiché oltre le sanzioni pecuniarie ce ne sono state due interdittive: 1) il divieto di pubblicità dei propri prodotti; 2) la esclusione da agevolazioni, finanziamenti contributi e sussidi. A questo si aggiungono la pubblicazione della sentenza su due testate nazionali (con il relativo danno d’immagine) e la confisca dei guadagni illeciti consistenti nel risparmio di spese per non aver adeguato la struttura alle norme sulla sicurezza. Con la 231/01 l’azienda risponde personalmente del reato realizzato, sia dai soggetti operanti in “posizione apicale” (amministratori, direttori generali, etc.), sia dai lavoratori subordinati e addirittura dai consulenti. L’ordinamento offre alle imprese la possibilità di escludere questa responsabilità se esse adottano idonei modelli organizzativi ed un efficace sistema di vigilanza e controllo volto a prevenire i reati. Quindi il legislatore da un lato ha aggiunto una nuova sanzione, dall’altro ha introdotto un sistema che, orientando a maggiore eticità la governance aziendale, dovrebbe ridurre i reati commessi dalle organizzazioni economiche anche nel commercio. Frodi e contraffazione, infatti, rientrano tra quei reati che determinano responsabilità amministrativa delle aziende come è già accaduto per il noto caso delle “mozzarelle blu”. In sostanza la responsabilità amministrativa è “una sorta di impropria responsabilità penale dell’impresa e, non potendosi, nel nostro ordinamento, attribuire una responsabilità penale (che è personale) ad un’organizzazione, si è istituita la responsabilità amministrativa che tuttavia segue le regole del codice penale in molte sue espressioni ed è materia del giudice penale”, ha dichiarato l’Avv. Lorenzo Fantini. Anche i reati ambientali (disastro ambientale, inquinamento ambientale) da quest’anno rientrano tra quelli disciplinati dalla 231/01; lo ha fatto notare l’avv. Maurizio de Tilla il quale ha messo in evidenza quanto questo sia importante per la Campania, ricordando i dati emersi sulla Terra dei Fuochi nel libro “Monnezza di Stato” (di A. Giordano e P. Cariello – Minerva Edizioni).
Tuttavia non si comprende, e questo non riguarda solo la Campania, perché il modello 231/01 che dovrebbe tendere a diminuire la corruzione tra le imprese non si applichi anche nel settore pubblico, ai partiti ed ai sindacati ad oggi esclusi dalla norma. Il rischio compliance ed il problema della corruzione non sono comunque solo un problema italiano ma una questione internazionale e la soluzione adottata nel nostro Paese nel 2001 prende spunto dai Compliance Programs statunitensi introdotti 20 anni prima. Come giustamente ha osservato l’Avv. Fantini: “la corruzione non si combatte con le sanzioni ma con la cultura, in questo caso anche cultura aziendale”.
La disciplina dei modelli di responsabilità Amministrativa richiede approcci sostanziali (e non documentali) e l’obiettivo della norma è portare le aziende ad un livello di organizzazione tale che previene il reato. Per fare questo è necessaria una precisa scelta di politica aziendale. In questo la 231/01 assomiglia molto alla nuova normativa sulla sicurezza (81/08): rispetto alla 626/94 l’enfasi viene posta sull’organizzazione aziendale, che se adeguatamente ed efficacemente improntata, costituisce il primo fattore preventivo per gli infortuni sul lavoro. Come ha affermato il Dott. Giovanni Alibrandi, in materia di sicurezza del lavoro, nelle sentenze sempre più si parla di “carenze organizzative”, questo perché bisognerebbe privilegiare di più l’applicazione della conoscenza rispetto alla mera produzione di documentazione cartacea.
“Al di là dei modelli organizzativi è necessario cambiare i comportamenti” ha dichiarato l’Avv. Giorgio Carozzi nell’introdurre il tema del “Rating di legalità”. Si tratta di un meccanismo normativo avviato dal 2014 con il Decreto “Cresci Italia” volto a favorire quelle aziende che adottano modelli di prevenzione dei reati; una sorta di sistema premiale che trasforma il modello 231/01 in un’opportunità economica. D’altronde la stessa Sicurezza del Lavoro, al di là degli aspetti etici, impatta direttamente sui bilanci aziendali. Le aziende che acquisiscono il rating di legalità sono: 1) favorite nei finanziamenti pubblici e privati, 2) preferite nelle graduatorie pubbliche oltre a conseguire vantaggi in termini assicurativi; meno rischi implicano infatti, premi più bassi. Eppure da settembre 2014 sono solo 270 le aziende iscritte nel rating di legalità: davvero non si capisce, come sostiene lo stesso Guariniello, questa “miopia culturale” anche se ci sono “interessanti azioni” per esempio della Confindustria” come le linee guida pubblicate nel 2014 in tema di MOG. Di fatto l’efficace applicazione del modello 231 – che scherma l’azienda nei confronti della responsabilità amministrativa – crea valore aggiunto per le organizzazioni produttive; questo avviene però se il sistema non è ingombrante, non rallenta il lavoro ed è dunque anche efficiente. La prevenzione in questo caso costa molto meno del vantaggio che produce anche in termini di spese legali.
* Marketing Manager del Gruppo Iovine Salerno

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Luca Iovine con il Procuratore Guariniello a Napoli
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