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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Le più recenti analisi dedicate agli orientamenti strategici delle aziende confermano l’attenzione dedicata (anche nelle regioni meridionali) alle problematiche ambientali.
Imprese “green”? Più competitive
Il rapporto Fondazione Symbola/Unioncamere evidenzia che la provincia di Salerno è al tredicesimo posto della graduatoria nazionale per investimenti in prodotti o tecnologie eco/compatibili. Positivi i risvolti sull’occupazione: 930 assunzioni non stagionali entro la fine del 2015.

Esistono una serie di luoghi di comuni che alla prova dei numeri si sgretolano e finiscono per svelare scenari molto spesso sorprendenti. Mentre ci si attarda nella definizione di interventi strutturali in grado di attivare un meccanismo di recupero dei tanti svantaggi competitivi che penalizzano il sistema economico e produttivo meridionale, le dinamiche reali riscontrabili sui territori segnalano fenomeni che andrebbero immediatamente sostenuti dalla parte pubblica. Per esempio: i dati del “Rapporto GreenItaly 2015” (Fondazione Symbola/Unioncamere) collocano la nostra provincia al tredicesimo posto nella graduatoria nazionale riservata alle aree nelle quali operano imprese che tra il 2008 ed il 2014 hanno investito – o prevedono di farlo nel 2015 – in prodotti e tecnologie “green”. E sono queste stesse imprese – 6.340 in provincia di Salerno – che dichiarano di effettuare entro l’anno in corso 930 assunzioni non stagionali di green jobs in senso stretto. Si tratta di aziende – con almeno un dipendente nei settori dell’industria o dei servizi – che hanno investito tra il 2008 e il 2014 (o hanno programmato di farlo nel 2015) in prodotti e tecnologie a maggior risparmio energetico e minor impatto ambientale. E quando si parla di green jobs il riferimento principale si configura nei seguenti profili (tra i più richiesti): installatore di impianti termici a basso impatto; ingegnere energetico; tecnico meccatronico; ecobrand manager; esperto di acquisti verdi; esperto in demolizione per il recupero dei materiali; esperto del restauro urbano storico; serramentista sostenibile; esperto nella commercializzazione dei prodotti di riciclo; programmatore delle risorse agroforestali; ingegnere ambientale; statistico ambientale e risk manager.
Insomma, non è vero che nei territori del Sud non si colgono fermenti proiettati verso il futuro, in sintonia con quanto accade nelle parti d’Italia e d’Europa più avanzate dal punto di vista delle tecnologie e dello sviluppo eco/compatibile. Un segmento produttivo che è capace di generare un doppio valore aggiunto: buoni trend di crescita per le imprese che credono in questa impostazione strategica e positive ricadute nelle zone geografiche dove sono insediate queste attività produttive in termini di qualità della vita, di tutela del patrimonio ambientale e (ma è appena il caso di ricordarlo) degli indicatori gestionali.
Si tratta di imprese doppiamente virtuose in quanto si muovono in una geografia competitiva all’interno della quale certamente non spicca – non può spiccare – il Mezzogiorno. Le punte più avanzate sono localizzate, ovviamente, soprattutto nel Nord del Paese. La Lombardia è al primo posto nella graduatoria regionale per numero di aziende di questo tipo (circa 71.000 , poco meno di un quinto del totale). Dietro la Lombardia ci sono Veneto e Lazio (34.770 e 31.010 imprese “green”), poi Emilia Romagna (30.710) e Campania, che con 27.920 aziende non sfigura nel confronto con il resto d’Italia visto che dietro di lei si collocano: Piemonte, Toscana, Puglia, Sicilia, Marche.
Tocca ripetersi, ma siamo alle solite. Mentre si “studiano” rimedi per sostenere – più che giustamente, per carità – le aziende in difficoltà o, comunque, alla ricerca di una dimensione più competitiva, quelle che hanno già dimostrato di reggere alla crisi e di essere fortemente orientate all’innovazione tecnologica si ritrovano più o meno abbandonate a se stesse. Nonostante possano essere considerate veri e propri fattori di crescita per i sistemi economici e produttivi all’interno dei quali si collocano. Perché? Perché – spiegano Symbola ed Unioncamere – “esportano nel 18,9% dei casi, a fronte del 10,7% di quelle che non investono nel verde” ed “innovano più delle altre: il 21,9% ha sviluppato nuovi prodotti o servizi, contro il 9,9% delle non investitrici”. Ed hanno anche aumentato il fatturato ( tra il 2013 e 2014) nel 19,6% dei casi, contro il 13,4% delle altre non “green”. Percentuali che nel manifatturiero arrivano al 27,4% contro il 19,9%.
E’ appena il caso di ricordare che nelle regioni più competitive di quelle meridionali si mettono in campo misure specifiche per promuovere le buone pratiche imprenditoriali (e, quindi, anche quelle orientate al “green”) e questo atteggiamento, ovviamente, non fa che aumentare il divario tra noi e loro. Eppure sarebbe estremamente semplice partire proprio da una politica industriale che tenga conto delle perfomance delle aziende, premiando prima di tutto il merito. Come? Attraverso – ma è solo una delle opzioni, anche se la principale – una vera e propria fiscalità compensativa di livello regionale e locale. Niente da inventare. Tutto già immaginato e realizzato prevalentemente nelle regioni del Centro e del Nord. Ma anche per “copiare” occorre buona volontà.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it

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