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Imballaggi, la sfida del biodegradabile di Loredana Incarnato*

L’impatto della plastica sull’ambiente è ben noto e da anni si cerca di risolvere il problema studiando materiali biodegradabili e/o derivanti da fonti rinnovabili, il cui utilizzo consentirebbe di ridurre sia il volume di rifiuti destinati alla discarica, sia l’uso di petrolio e di altre fonti esauribili per la produzione di imballaggi. Tuttavia, i materiali sviluppati fino ad oggi risultano generalmente più costosi dei polimeri tradizionali e di scarsa qualità tecnica. Pertanto, il loro impiego è ancora piuttosto limitato, specialmente nel settore dell’imballaggio alimentare, in cui le applicazioni di interesse commerciale sono limitate essenzialmente al confezionamento di prodotti scarsamente deperibili e poco sensibili ai processi di degradazione ossidativa (per esempio bottiglie per acque minerali e vaschette per alimenti con shelf life inferiore alla settimana). Per poter estendere gli ambiti applicativi dei polimeri biodegradabili anche a settori finora ad essi preclusi, è indispensabile individuare nuove soluzioni per incrementarne le prestazioni, in particolare la stabilità termica e le proprietà diffusionali verso gas, aromi e vapori. Tale problematica è attualmente oggetto di intense attività di ricerca, non solo industriale ma anche accademica. In molti Atenei, infatti, in particolare nei settori scientifici e tecnologici, la ricerca rivolge grande attenzione alle ricadute applicative e alle problematiche di industrializzazione della ricerca di base. Nell’Università di Salerno, ad esempio, si svolgono ricerche di eccellenza che interessano diversi comparti industriali fortemente radicati nella realtà meridionale. In particolare, presso i laboratori di Tecnologia dei Polimeri del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Salerno vengono sviluppate ricerche innovative nel campo dell’imballaggio alimentare, mirate alla progettazione e allo sviluppo di imballaggi di “nuova generazione”. Tali imballaggi devono presentare, oltre ai requisiti funzionali relativi alla conservazione ottimale e sicura dei prodotti alimentari, anche un’elevata eco-compatibilità. Con riferimento ai polimeri biodegradabili, presso i nostri laboratori si stanno sperimentando diverse strategie atte a migliorare le proprietà funzionali dell’acido polilattico (PLA), basate sulla realizzazione di sistemi multicomponente ottenuti da miscele polimeriche o con l’aggiunta di nano-cariche inorganiche. Risultati particolarmente interessanti sono stati ottenuti aggiungendo piccole percentuali di nano-cariche (3-5% in peso) al PLA, che hanno portato ad un incremento considerevole delle proprietà barriera all’ossigeno ed al vapor d’acqua, senza alterare le caratteristiche di lavorabilità e biodegradabilità del polimero. In particolare, sono stati realizzati film flessibili nanofunzionalizzati completamente biodegradabili, che potrebbero trovare applicazioni interessanti nel comparto alimentare. Un’altra strategia in via di sperimentazione presso i nostri laboratori si basa sull’impiego delle tecnologie attive (active packaging) per la realizzazione di imballaggi attivi biodegradabili. La tecnica consiste nell’addizionare alla matrice biodegradabile opportune sostanze attive, ad esempio capaci di assorbire gas e vapori (ossigeno, acqua, etilene) o emettere sostanze antimicrobiche (etanolo, anidride carbonica, ecc.), che interagiscono con l’atmosfera interna alla confezione, variandone la composizione e prolungando la shelf-life dell’alimento confezionato. Attraverso questa tecnica è stato possibile progettare e realizzare sistemi di imballaggio biodegradabili, sia flessibili che semirigidi, con attività oxygen scavenging, per il confezionamento alimentare. * Docente di Scienza e Tecnologia Materiali (Università degli Studi di Salerno)


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