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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

I parametri Eurostat/Ocse confermano il divario competitivo tra le aree del Nord-Centro e del Sud.
Il vero tesoro è il “capitale territoriale”
L’analisi di Aldo Bonomi evidenzia la necessità di ripartire dalla visione che pone al centro le varie componenti di base in grado di determinare la ricchezza delle regioni del Mezzogiorno.

In campagna elettorale si tende quasi sempre a perdere di vista il perimetro reale dei problemi con i quali è urgente confrontarsi. Si preferiscono altri terreni di scontro, alimentando una confusione generale che finisce per rendere complicata la distinzione agli occhi di tutti (anche degli osservatori professionali, non solo dei semplici cittadini-elettori) delle priorità programmatiche dei diversi candidati e schieramenti in campo. L’effetto-minestrone diventa predominante e solo in pochi conservano il “desiderio” di cimentarsi nel difficile esercizio di comprendere la reale valenza operativa delle proposte che si dichiara di volere attuare una volta eletti. Eppure in una democrazia matura il primo pilastro della relazione fiduciaria tra candidati ed elettori è proprio la “sottoscrizione” di un patto – al momento del voto – in base ad un impegno solenne sulle cose che entrambi le parti in causa (candidati ed elettori) ritengono di realizzare. Niente di tutto questo accade da anni nel nostro Paese ed in particolare nelle regioni del Sud. I programmi dei candidati (e dei partiti) sono fumosi; le proposte quasi sempre prive di un aggancio concreto alla dinamica dei finanziamenti che potrebbero renderle praticabili; la visione dei problemi o è molto lontana dalla realtà effettiva delle cose o, pure quando parte da un’analisi concreta, si rivela priva di un piano attuativo articolato in tempi certi ed adeguati alla “normale” capacità di attesa dei destinatari degli interventi.
E’ evidente, quindi, che manca soprattutto il senso di condivisione di un percorso non calato dall’alto; il senso di un impegno profondo per individuare un progetto di ricostruzione vera e propria dell’identità dell’intera regione (non soltanto di parti di essa); il senso di uno sguardo largo, capace di proiettarsi molto al di la delle scadenze elettorali (superando la logica del calcolo utilitaristico).
Gli strumenti per rendersi conto della situazione nella quale realmente si trova la Campania – in compagnia, per la verità di quasi tutte le altre regioni del Mezzogiorno – non mancano e forniscono indicazioni molto importanti per riuscire a trovare il bandolo di una matassa molto aggrovigliata. Aldo Bonomi (“Il capitale territoriale del Centro-Nord vale quello tedesco”, Il Sole 24 Ore di domenica scorsa, 12 aprile) spiega come sempre molto bene quello che sta accadendo in Italia, partendo dai parametri (Eurostat/Ocse) relativi al capitale territoriale: capitale umano; capitale cognitivo; capitale sociale; capitale infrastrutturale; capitale produttivo; capitale relazionale; capitale ambientale; capitale insediativo. Si tratta di un ragionamento sostanziale per identificare le criticità alle quali dare risposte immediate. La ricostruzione del capitale territoriale – evidenzia Bonomi – è la precondizione (e la dotazione) di base per la crescita dei territori. “Tenere assieme verso l’Europa – scrive – la Magna Grecia e il Grande Nord, ed evitare che interi pezzi del Paese si percepiscano come territori perduti della Repubblica, mi pare la forma in cui si è evoluta la questione meridionale. Eclissata per molto tempo dall’emergere della questione settentrionale, oggi l’analisi del capitale territoriale dei territori italiani la fa diventare una urgente questione europea”.
Il disegno che abbiamo davanti, intanto, si sintetizza in questa immagine che lo studioso delle dinamiche di sviluppo locale descrive così: “Un’Europa del burro, sopra la media, ed un’Europa dell’olio, dove aumenta nella crisi il numero dei tanti che sono sotto i 15mila euro (Pil pro capite, ndr), Portogallo, Sud della Spagna, Mezzogiorno d’Italia e Grecia. Con le regioni del Nord Italia e, a seguire, il Centro ben collocati dentro la media o ben al di sopra, come nel caso della Lombardia o dell’Emilia Romagna, con un Pil nel 2011 tra i 30-35mila euro”. Ma queste differenze – che lo stesso Bonomi definisce “scontate” – si accentuano proprio “quando entrano in gioco gli indicatori del capitale territoriale”.
Insomma, se non si lavora con serietà per rendere più competitivi i territori dell’Italia “dell’olio” – e non si tratta soltanto della competizione tra imprese, ma anche (e soprattutto) tra sistemi e piattaforme territoriali – non sarà tanto difficile continuare davvero a “giocare” nel campionato della serie “B” dell’euro. Qui al Sud, naturalmente. Non nel resto d’Italia.
ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it

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