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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Un “marchio” per tutelare ambiente, paesaggio, produzioni tipiche ed asset turistici
Il territorio? Si aiuta da sé. La lezione di Sorrento

Non c’è bisogno di andare troppo lontano per scoprire buone pratiche che partono dal basso, che nascono sui territori con l’intento di valorizzarne le potenzialità, i punti di forza, gli asset strategici che possono fare la differenza nella competizione ormai giocata su uno scenario sempre più internazionale. Qualche giorno fa il Corriere della Sera ha dedicato un articolo al “marchio” territoriale della Penisola Sorrentina (partito già da qualche tempo), che assume in sé una grande valenza in termini di esempi virtuosi che dovrebbero essere seguiti principalmente proprio in quelle aree affini dal punto di vista delle dinamiche economiche e produttive come, manco a dirlo, la provincia di Salerno. Il problema non è la solita corsa al “brand”, al marketing del marketing, alla consueta costruzione di un percorso mediatico utile più alla politica ed ai promotori che allo stesso territorio (come quasi sempre è accaduto quando in Campania si è tentato di fare riferimento ad esperienze strutturate di promozione intelligente delle risorse turistiche, ambientali, culturali, enogastronomiche e via discorrendo). Il problema vero è, come sempre, la diretta relazionalità tra l’“annunciazione” di iniziative e progetti e l’effettivo, conseguente, raggiungimento di risultati concreti e rendicontabili.
Nel caso del marchio della Penisola Sorrentina (nella foto in alto a sinistra il logo disegnato da Filippo Leonelli) è interessante notare che il presupposto sul quale si poggia l’elaborazione del percorso messo in campo è un vero e proprio codice etico. In altre parole non si parla – come quasi sempre è accaduto – soltanto di azioni comunicazionali o meramente informative, ma si individuano alcune caratteristiche distintive di prodotti e servizi “strettamente legati al territorio” che si sceglie di tutelare con un marchio “di garanzia” incentrato sulla sostenibilità dei processi produttivi, introducendo il tema fondamentale della responsabilità sociale. Il senso del discorso, quindi, si sposta significativamente dall’ambito meramente legato alla “commercializzazione” del territorio ed al suo posizionamento sugli scaffali del turismo nazionale ed internazionale – operazione che, ovviamente, non avrebbe nulla di negativo (anzi, sarebbe in ogni caso meritevole di attenzione) – al terreno decisivo del coinvolgimento degli attori sociali dello sviluppo chiamati a partecipare prima di tutto alla salvaguardia del patrimonio ambientale e paesaggistico nel quale si innestano le “filiere” che producono la maggiore quota di benessere di queste zone tra le più belle al mondo.
E’ in questo modo che si tenta di mettere a sistema non i singoli “pezzi” dell’economia, ma l’intero agglomerato produttivo (agricoltura, trasformazione dei prodotti del primario, rete dell’accoglienza e dell’ospitalità, giacimenti culturali, risorsa/mare eccetera), nella piena consapevolezza che nessuno di questi “pezzi” può reggere a lungo occupandosi solo del proprio core business. Bisogna entrare, invece, nella logica opposta: solo tutelando tutti insieme – dal basso – il principale fattore di crescita (che è, naturalmente, l’area geografica dove si è insediati) si potranno attivare meccanismi di networking capaci di moltiplicare la redditività delle imprese. Con una particolarità di non secondaria importanza: conferire ulteriore valore aggiunto alla qualità delle vita dei residenti (comprese le opportunità di occupazione). Perché non può esistere alcuna differenziazione tra turisti, soggiornanti e residenti: l’aria che respirano i residenti e la stessa che toccherà in sorte ai turisti, come la qualità dell’acqua ed il livello di efficienza del ciclo integrato dei rifiuti. Insomma, le coordinate di base che fanno di un territorio la meta di milioni di visitatori vanno difese e garantite dai residenti e da quanti in quei luoghi operano da imprenditori: altrimenti, con l’usura del tempo, si perdono i vantaggi competitivi e si solidificano soltanto le criticità (con la relativa perdita di redditività delle aziende).
Se si riuscisse a promuovere in Campania una “rete” di marchi di territorio, si renderebbe un buon servizio alle economie locali (turistiche e non) e si aumenterebbe il livello qualitativo della vita dei cittadini. La lezione della Penisola Sorrentina (davvero a noi vicina) è estremamente educativa. E per una volta fa piacere che a salire in cattedra sia una realtà del Mezzogiorno: vuol dire che non esistono differenze “antropologiche”, ma solo uomini di buona volontà. Anche da queste parti.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it

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