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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Siamo rimasti indietro, sempre gli stessi, mentre tutto il resto, in qualche modo, è andato avanti.
Il tempo nuovo che non ci rende nuovi
Tante metamorfosi prendono forma fino a sollecitare la presa di coscienza di uno o più mutamenti nel segno solo di una cosa: la mancata (e voluta) assenza di consapevolezza, perché noi non siamo minimamente cambiati.

“pasqua” s. f. [lat. pascha, gr. πάσχα, adattamenti dell’ebr. pesaḥ (aramaico pisḥā), propr. «passaggio»; la forma lat. si è incrociata con pascua «pascoli»], (treccani.it).

E’ il tempo del passaggio, dei passaggi, dei mutamenti, che coincide con il tempo della Pasqua, che è il passaggio stesso, a cominciare dalla data che rimane “mobile”, perché “dipende dal plenilunio di primavera mentre l’origine è legata al mondo ebraico, in particolare alla festa di Pesach, durante la quale si celebrava il passaggio di Israele, attraverso il mar Rosso, dalla schiavitù d’Egitto alla libertà”. Come pure, va detto, che, etimologicamente, deriva dal greco “pascha, a sua volta dall’aramaico pasah e significa propriamente passare oltre, quindi passaggio”. Gli ebrei “ricordavano il passaggio attraverso il mar Rosso dalla schiavitù d’Egitto alla liberazione. Per i cristiani è la festa del passaggio dalla morte alla vita di Gesù Cristo”, (famigliacristiana.it).

Le origini della Pasqua (Pesach) sono nella tradizione ebraica, legate alla storia dell’agricoltura, “la festa della raccolta dei primissimi frutti della campagna, a cominciare dal frumento”. La Pasqua “diventa la celebrazione annuale della liberazione degli ebrei dalla schiavitù, significato che si aggiunse all’altro, come ricordo della fuga dall’Egitto e del fatto che con il sangue degli agnelli si fossero dipinti gli stipiti delle porte affinché l’angelo sterminatore – come dice la Bibbia – passando da quelle case, risparmiasse i primogeniti”. E anche nella nostra contemporaneità, “la cena pasquale presso gli Ebrei si svolge secondo un preciso ordine detto Seder. Ci si nutre di cibi amari per ricordare l’amarezza della schiavitù egiziana e lo stupore della libertà ritrovata”. Per celebrare la Pasqua, “gli israeliti al tempo di Gesù ogni anno si recavano a Gerusalemme”. E “anch’egli vi si recava”. La sua morte “avvenne, infatti, in occasione della pasqua ebraica. Egli per i cristiani è l’agnello pasquale che risparmia dalla morte, il pane nuovo che rende nuovi (cfr 1Cor 5,7-8)”, (famigliacristiana.it).

Il punto sostanziale, pare a noi di capire, è contenuto proprio in quest’ultimo concetto: il pane nuovo rende nuovi? O, invece, anche masticando e assimilando il pane nuovo, in realtà, si rimane assorti nella scia vecchia, che, alla fine, non sconvolge affatto e non propone alcuna ansia di rinnovamento?

Ripassare questi passaggi di origine storica e religiosa consente di fare mente locale, in maniera più drastica e approfondita, su tante metamorfosi che, pure, prendono piede e ci lasciano camminare nel tempo, fino a sollecitare la presa di coscienza di uno o più mutamenti nel segno solo di una cosa: la mancata (e voluta) assenza di consapevolezza, perché noi non siamo minimamente cambiati. Hanno contribuito la pandemia, il racconto della guerra che pure continua a svolgersi ogni giorno, e, forse, ancora tante paure che hanno preso forma e consistenza mentre si profilava il nascere di una nuova epoca. Di un nuovo mondo, che non è quello che si poteva immaginare.

Ma noi, dietro il mondo che cambia ed è cambiato, siamo come prima. Siamo rimasti indietro, siamo sempre gli stessi, mentre tutto il resto, in qualche modo, è andato avanti.

Buona Pasqua a tutti.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

 

 

 

 

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