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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Lo studio periodico di Confindustria/Srm analizza le dinamiche di crescita del Mezzogiorno.
Il Sud? Ne riparliamo tra dieci anni
Non prima del 2025 sarà possibile ritornare ai trend precedenti il ciclo recessivo e recuperare i livelli di ricchezza perduti dal 2007 (stimabili in oltre 50 miliardi di euro di Pil).

Ammesso che ci fosse ancora qualche dubbio sulla dimensione epocale della sfida che attende il Mezzogiorno e la Campania nei prossimi anni per tentare di uscire dal baratro nel quale sono precipitati, adesso non è proprio più il caso di continuare a crogiolarsi in prospettive salvifiche di breve termine. La periodica analisi che Confindustria ed Srm dedicano alle aree meridionali evidenzia alcune “eredità” della crisi degli ultimi anni che vale la pena di sottolineare nuovamente, se non altro per ribadire che senza investimenti e senza l’efficace utilizzazione dei fondi europei non si uscirà dal tunnel nel quale siamo finiti. Secondo le previsioni di matrice confindustriale “l’Italia dovrebbe tornare a crescere nel 2015 (+0,8%) e in maniera più robusta (+1,4%) il prossimo anno, ma la risalita sarà piùlunga e difficile soprattutto nel Mezzogiorno, dove i ritmi di crescita sono stati, negli ultimi anni, strutturalmente più bassi di quelli medi italiani”. E per essere più precisi: “Applicando alle regioni meridionali il tasso di crescita stimato per l’intero Paese (cosa peraltro improbabile, dati i citati ritmi degli ultimi anni), il Sud è destinato a recuperare i livelli di ricchezza perduti dal 2007 (stimabili in oltre 50 miliardi di euro di Pil) non prima del 2025”. Insomma, non meno di dieci anni per ritornare agli anni precedenti il ciclo recessivo. Domanda: ma – ammesso che l’impresa riesca – gli standard qualitativi di quegli anni per la maggioranza delle famiglie e delle imprese possono davvero rappresentare uno standard di riferimento?
Ancora numeri per descrivere meglio lo scenario attuale. “I molteplici segnali positivi migliorano prospettive e aspettative – scrivono sempre Confindustria e Srm – ma non ribaltano la situazione descritta nell’indice sintetico dell’economia meridionale, aggiornato su base semestrale, che fotografa le principali variabili economiche. A fine 2014 l’indicatore resta sui minimi, portandosi ben al di sotto del valore registrato nell’anno base 2007. A deprimere l’indice continua a essere, soprattutto, il calo degli investimenti pubblici e privati, diminuiti su base annua di oltre 28 miliardi di euro tra 2007 e 2014, cioè di oltre il 35%”.
Un altro elemento di valutazione dirimente. “Contrastante è anche la situazione del credito: lo stabilizzarsi di impieghi, domanda e offerta di credito è sintomo di ritorno alla normalità, ma le sofferenze hanno ormai superato i 37 miliardi di euro (contro i 131 del Centro-Nord) e, tra 2013 e 2014, aumenta la divaricazione tra chi migliora il proprio rating e chi lo peggiora”.
Da dove cominciare? La ricetta è abbastanza “obbligata”. Occorre ripartire dagli investimenti. Non ci sono alternative. “Sono soprattutto le risorse della politica di coesione, sia dei fondi strutturali sia dei fondi nazionali – è spiegato nel report – a dover essere impiegate in maniera intensa e accelerata per favorire la ripresa degli investimenti, anticipando e accompagnando la crescita della spesa in conto capitale ordinaria (ipotizzata dal Def), rispetto alla quale tali investimenti dovrebbero avere (e non hanno mai avuto) carattere addizionale, e superando i vincoli del patto di stabilità europeo grazie a un utilizzo ampio della flessibilità”.
Chiaro – per Confindustria e Srm – anche il percorso per evitare la solita “intermediazione” politica dei provvedimenti protesi alla stimolazione della ripartenza. “I fondi devono costituire l’occasione e lo strumento per consolidare e ampliare i segnali positivi che vengono dalle imprese: con meccanismi fiscali come il credito di imposta per nuovi investimenti e ampliamenti, o come il credito d’imposta per R&S; con strumenti di garanzia e di risk sharing per agevolare l’erogazione del credito; con strumenti mirati come i Contratti di Sviluppo per favorire investimenti di grandi dimensioni coerenti con la specializzazione intelligente dei territori meridionali; con il potenziamento dell’azione dell’Ice per favorire l’export delle imprese meridionali”.
Ora – per usare la metafora degli autori dello studio – “la palla torna nelle mani delle istituzioni, a tutti i livelli. Gli ultimi mesi utili per portare a compimento il ciclo di programmazione 2007/13 e per l’esordio del nuovo ciclo 2014/20, che muove ora, con colpevole ritardo, i primi passi, sono, infatti, un banco di prova essenziale per il Governo, per i ministeri, per le amministrazioni regionali. Indirizzi e scelte strategiche sono nella loro sfera di responsabilità”.
Ma c’è un passaggio preliminare che il Governo Renzi fino ad oggi non ha dato la sensazione di volere compiere: “assumere, una volta per tutte, il tema della riduzione del divario meridionale come prioritaria opportunità e necessità di interesse nazionale.”
Il nodo da sciogliere – si sarebbe detto un tempo – è tutto politico. Se non si palesa concretamente la volontà di intervenire ricentralizzando l’azione di Governo sulle dinamiche di sviluppo delle imprese e dell’intero sistema economico e produttivo meridionale, il 2025 rischia di essere una scadenza addirittura troppo ottimistica.
ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it

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