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La mancata garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni nei servizi pubblici incide sulla tenuta dell’area.
Il Sud? A “cittadinanza limitata”
La Svimez: “Nel Mezzogiorno si delinea una netta cesura tra dinamica economica che, seppur in rallentamento, ha ripreso a muoversi dopo la crisi, e una dinamica sociale che tende ad escludere una quota crescente di cittadini dal mercato del lavoro, ampliando le sacche di povertà e di disagio”.

(Er.Pa.) – Il tema dovrebbe essere quello prevalente e non solo nelle sedi più propriamente politiche ed istituzionali. E, invece, appare quasi sempre “oscurato”, tenuto in secondo piano. O, peggio ancora, agitato nei momenti di maggiore e strumentale scontro tra maggioranza ed opposizione. Lo scenario descritto dalla Svimez (anticipazioni del Rapporto 2018) è molto chiaro e inquietante. “Ancora oggi al cittadino del Sud – si legge in una nota di sintesi – nonostante una pressione fiscale pari se non superiore per effetto delle addizionali locali, mancano (o sono carenti) diritti fondamentali: in termini di vivibilità dell’ambiente locale, di sicurezza, di adeguati standard di istruzione, di idoneità di servizi sanitari e di cura per la persona adulta e per l’infanzia”.  E ancora: “In particolare, nel comparto socio-assistenziale il ritardo delle regioni meridionali riguarda sia i servizi per l’infanzia che quelli per gli anziani e per i non autosufficienti. Più in generale, l’intero comparto sanitario presenta differenziali in termini di prestazioni che sono al di sotto dello standard minimo nazionale come dimostra la griglia dei Livelli Essenziali di Assistenza nelle regioni sottoposte a Piano di Rientro: Molise, Puglia, Sicilia, Calabria e Campania, sia pur con un recupero negli ultimi anni, risultano ancora inadempienti su alcuni obiettivi fissati”. E’ sempre la Svimez ad evidenziare che “i dati sulla mobilità ospedaliera interregionale testimoniano le carenze del sistema sanitario meridionale, soprattutto in alcuni specifici campi di specializzazione, e la lunghezza dei tempi di attesa per i ricoveri. Le regioni che mostrano i maggiori flussi di emigrazione sono Calabria, Campania e Sicilia, mentre attraggono malati soprattutto la Lombardia e l’Emilia Romagna”. Per non parlare dei “lunghi tempi di attesa per le prestazioni specialistiche e ambulatoriali” che “sono anche alla base della crescita della spesa sostenuta dalle famiglie con il conseguente impatto sui redditi”. Si materializza, quindi, il “fenomeno della povertà sanitaria, secondo il quale sempre più frequentemente l’insorgere di patologie gravi costituisce una delle cause più importanti di impoverimento delle famiglie italiane, soprattutto nel Sud: nelle regioni meridionali sono il 3,8% in Campania, il 2,8% in Calabria, il 2,7% in Sicilia; all’estremo opposto troviamo la Lombardia con lo 0,2% e lo 0,3% della Toscana”. Divari confermati “anche per quel che riguarda l’efficienza degli uffici pubblici in termini di tempi di attesa all’anagrafe, alle ASL e agli uffici postali”.

L’indice sintetico della perfomance delle Pubbliche Amministrazioni.

L’indice sintetico costruito dalla Svimez misura le performance delle Pubbliche Amministrazioni nelle regioni sulla base della qualità dei servizi pubblici forniti al cittadino nella vita quotidiana: “fatto 100 il valore della regione più efficiente (Trentino-Alto Adige) emerge che quelle meridionali, ad eccezione della Campania che si attesta a 61, della Sardegna a 60 e dell’Abruzzo a 53, sono al di sotto della metà: Calabria 39, Sicilia 40, Basilicata 42, Puglia 43”.

Una cittadinanza “limitata”.

E’ in questa tipologia di relazione tra cittadini e Istituzioni che prende forma un quadro economico che lascia poco spazio all’ottimismo. “Il ritmo di crescita  – spiega sempre la Svimez – è del tutto insufficiente ad affrontare le emergenze sociali nell’area. Anche nella ripresa si allargano le disuguaglianze: aumenta l’occupazione, ma vi è una ridefinizione al ribasso della sua struttura e della sua qualità: i giovani sono tagliati fuori, aumentano le occupazioni a bassa qualifica e a bassa retribuzione, pertanto la crescita dei salari risulta frenata e non in grado di incidere su livelli di povertà crescenti, anche nelle famiglie in cui la persona di riferimento risulta occupata. Il divario nei servizi pubblici, la cittadinanza limitata connessa alla mancata garanzia di livelli essenziali di prestazioni, incide sulla tenuta sociale dell’area e rappresenta il primo vincolo all’espansione del tessuto produttivo”.

L’occupazione in ripresa, ma precaria.

Nel 2017 è proseguita – rileva la Svimez – la crescita dell’occupazione: “nel Mezzogiorno aumenta di 71 mila unità (+1,2%) e di 194 mila nel Centro-Nord (+1,2%)”. Ma al Sud “è ancora insufficiente a colmare il crollo dei posti lavoro avvenuto nella crisi: nella media del 2017 l’occupazione nel Mezzogiorno è di 310 mila unità inferiore al 2008, mentre nel complesso delle regioni del Centro-Nord è superiore di 242 mila unità”. Nel corso del 2017 “l’incremento dell’occupazione meridionale è dovuta quasi esclusivamente alla crescita dei contratti a termine (+61 mila, pari al +7,5%) mentre sono stazionari quelli a tempo indeterminato (+0,2%). Vi è stata una brusca frenata di questi ultimi rispetto alla crescita del 2,5% nel 2016, il che dimostra che stanno venendo meno gli effetti positivi degli sgravi contributivi per le nuove assunzioni al Sud”.

Il dramma dei giovani.

Il dato più eclatante “è il drammatico dualismo generazionale: il saldo negativo di 310 mila occupati tra il 2008 e il 2017 al Sud è la sintesi di una riduzione di oltre mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni (-578 mila), di una contrazione di 212 mila occupati nella fascia adulta 35-54 anni e di una crescita concentrata quasi esclusivamente tra gli ultra 55enni (+470 mila unità)”.

Il disagio sociale.

“Nel Mezzogiorno – sottolinea la Svimez – si delinea una netta cesura tra dinamica economica che, seppur in rallentamento, ha ripreso a muoversi dopo la crisi, e una dinamica sociale che tende ad escludere una quota crescente di cittadini dal mercato del lavoro, ampliando le sacche di povertà e di disagio a nuove fasce della popolazione. Il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione è raddoppiato tra il 2010 e il 2018, da 362 mila a 600 mila (nel Centro-Nord sono 470 mila). Il numero di famiglie senza alcun occupato è cresciuto anche nel 2016 e nel 2017, in media del 2% all’anno, nonostante la crescita dell’occupazione complessiva, a conferma del consolidarsi di aree di esclusione all’interno del Mezzogiorno, concentrate prevalentemente nelle grandi periferie urbane”.

In altre parole aumentano le “sacche di crescente emarginazione e degrado sociale, che scontano anche la debolezza dei servizi pubblici nelle aree periferiche. Preoccupante la crescita del fenomeno dei working poors : la crescita del lavoro a bassa retribuzione, dovuto a complessiva dequalificazione delle occupazioni e all’esplosione del part time involontario, è una delle cause, in particolare nel Mezzogiorno, per cui la crescita occupazionale nella ripresa non è stata in grado di incidere su un quadro di emergenza sociale sempre più allarmante”.

(Fonte: svimez.it/ 01.08.2018)

 

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