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Il declino degli Usa, quello dell’Europa e la “nuova visione” della globalizzazione con l’ascesa dell’Oriente.
Il “rapporto” con la Cina superpotenza ibrida e fertile
La politica rimane ingabbiata nel tentativo di ispirare la possibilità di togliere la maschera alle apparenze in un mondo non aiutato dai nuovi media che, invece - spesso e troppo - ci propongono “finzioni” e false notizie.

di Pasquale Persico

Per il politologo Poul Kennedy, storico britannico trapiantato a Yale, il declino degli Usa e dell’Europa era evidente già nel 2018 e nel suo libro (“Ascesa e declino delle Grandi Potenze”) aveva anticipato idee che oggi si ripropongono con più argomentazioni per effetto del racconto connesso alla pandemia. Domenica scorsa (24.05.) su “La Lettura” del “Corriere della sera” e su “Il Sole 24 ore” appaiono anticipazioni sul suo libro aggiornato; e nell’intervista realizzata con lui viene evidenziato il consiglio di una sua allieva di nome Elisabetta che suggerisce di non spingersi troppo verso una tendenza – che sembra dominante –  nella letteratura sul dopo crisi. E forse lui correggerà il probabile titolo del suo libro: “All’Ombra della Cina”. A molti appaiono esagerate le accuse alla Cina che arrivano  dagli Usa e da altri  Paesi del mondo occidentale sulle responsabilità per la pandemia, mentre su molti giornali il ritornello corrente si configura nelle considerazioni critiche sul modo in cui sono state nascoste le previsioni (cinesi) sullo sviluppo della crisi. Si tarda, insomma, a capire che il modello per misurare l’efficacia dei sistemi economici e le progettualità in termini di efficienza è completamente differente tra la cultura della civiltà cinese e la cultura del mondo occidentale. La mancanza di un target di Pil per i prossimi anni, sempre per la Cina, fa a pugni con le continue previsioni che appaiono sulla probabile  caduta del Pil in tutto il mondo occidentale. Perché la Cina nasconde i suoi dati che forse la porteranno a circa 12 anni fa, prima di fare ripartire la sua macchina manifatturiera che, comunque, avrebbe dominato il mondo? Quali sono le riforme che dovrà – adesso, in questo momento – fare la Cina soprattutto dal punto di vista della trasparenza e democrazia?

Un primo punto sostanziale. Abbiamo noi abbastanza conoscenze per capire il mondo orientale, per comparare l’efficacia dei due mondi in evoluzione, per comprendere a fondo le dinamiche delle nuove sfide che la storia propone ai diversi continenti? Francois Julien, filosofo di fama internazionale, ci ricorda che per noi che facciamo riferimento alla filosofia il riferimento è alla Grecia, mentre la Cina è la sola grande civiltà che si è sviluppata al di fuori del pensiero europeo, al di fuori della nostra lingua, e quasi completamente al di fuori della nostra storia, almeno fino alla vigilia della globalizzazione. Perfino l’India, altro Paese gigante, ha linguaggi più vicini all’Europa.

Ecco, quindi, che lo “sconvolgimento” del pensiero quando dobbiamo comparare le due visioni del mondo o valutare l’efficacia delle azioni di politica economica, appare  spiegabile. Per l’Occidente produrre modelli di comportamenti e di previsioni è l’unico modo per governare con trasparenza e democrazia, per l’Oriente “modellizzare”  è culturalmente errato; è meglio abituarsi a riconoscere il potenziale che la storia del globo ti offre e cavalcare l’onda delle opportunità. Cercare di appoggiarsi ai fattori “portanti” che la natura ti offre è come usare l’energia che utilizza  il surfista nel correre sulle onde.

Allora, in questo momento in cui la pandemia ha reso la maggior parte dei comportamenti dei sistemi economici orfani dei modelli di riferimento, i cinesi si sono ricordati che la loro cultura è basata sulla riflessione necessaria a riconsiderare i fattori portanti del cambiamento di paradigma, per poter salire sulla nuova onda del potenziale della situazione che si è verificata.

Riappare, nella competizione con gli altri continenti, la strategia del logoramento piuttosto che quella dell’attacco frontale come nella guerra del Vietnam, il potenziale della modello di previsione e il comportamento basato sui modelli hanno  meno gradi di libertà e più rischi dell’analisi del potenziale delle opportunità, riconoscibili dall’apprendere che siamo deboli nell’imporre il nostro modello.

Ma torniamo alle previsioni di Kennedy, il politologo di Yale. Deng Xiaoping è stato in grado di far crescere il potenziale delle opportunità economiche, politiche e strategiche della Cina in maniera progressiva e oggi il mondo – fra lo stupore e la paura generale – si accorge improvvisamente del potere di questo potenziale e cerca di demonizzarlo.

Come fare a convergere in una comunanza di esperienze senza la paura di dover resistere al declino con reazioni scomposte e contro la nostra possibile storia di mondo a civiltà plurale? Dovremmo comprendere che la capacità di attesa della Cina è aumentata, nonostante le accuse Usa e delle altre organizzazioni internazionali.  Potremo così saper leggere la storia che offre anche alla Cina l’occasione di inquadrare  le nuove “ questioni di senso” che l’umanità in cammino  propone. Si tratta di  mettere in luce i fattori di evoluzione e di involuzione. Non a caso, allora, la nuova riflessione, per la Cina, è rivolta al mercato interno ed agli istituti della disuguaglianza sociale e territoriale.

Gli eventi sanguinari della sua mitologia arrivano nei racconti del contemporaneo e chiamano la politica cinese a riflessioni fuori dal modello di assestamento della visione dei modelli economici. La riflessione sul consenso di regime abbraccia l’intero continente orientale e l’affermazione del consenso piatto comincia ad essere criticato. Allora – invece di attenti alla Cina – Europa e Italia potrebbero cercare di allargare il dialogo, insieme ad altri continenti, su temi diversi dai patti commerciali. Rischiando anche di diventare relativamente dipendenti dalla produzione industriale del gigante asiatico, si perseguirebbe l’ipotesi di un’alleanza tra Stati euro-mediterranei capace di fare ripartire il “senso” dello stare insieme, ma per stare insieme ad altri Stati.

Nuovamente il “nessuno si salva da solo” diventa un programma di scala mondiale che utilizza la storia dell’Europa, la storia delle sue tradizioni e delle sue conquiste civiche, fino alle non ancora affrontate questioni conflittuali tra religioni e filosofia per disegnare un nuovo senso comune delle cose da fare. Una direzione di saggezza che -come per l’ antica Cina – attende le opportunità senza accelerare le nozioni apprese dai modelli culturali precedenti oramai obsoleti. E’, forse, davvero questo il comportamento virtuoso. Una nuova arte della gestione delle crisi (che sono in atto o che verranno) deve emergere, per evitare che l’attuale fase  del “non senso” di Trump , dell’assurdo dei populismi, e della perdite connesse alle guerre in atto, sia dominante rispetto ai comportamenti delle nazioni.

Il G20? Diventi il G300 di movimenti giovani e forti, capaci di andare oltre le filosofie dominanti e capaci, soprattutto, di superare la dicotomia oriente-occidente. Questa ipotesi potrebbe aprire scenari sorprendenti come spesso la tattica dell’attesa propone dopo la luna nera ed i giorni dell’inoperosità. Saper guardare, come è possibile fare oggi, e saper vedere la luna e Saturno in contemporanea poco prima del tramonto,  è anche la via di senso che ci fa camminare il giorno dopo per incontrare il lavoro da fare con la parola Politica. Oggi questa parola ispira la possibilità di togliere la maschera alle apparenze in un mondo che potrebbe essere anche aiutato dai nuovi media, che, invece, spesso e troppo, ci propongono solo finzioni o false notizie .

Allarghiamo il campo delle possibilità e andiamo incontro al potenziale, per salire in alto verso l’onda che ci fa camminare con la gioia della scoperta della visone plurale della storia. E l’economia? Questa volta viene dopo, se arriva prima è moneta ingannevole, sussidio all’immobilismo politico; l’Africa ed il Sud America lo sanno, e ci dicono di non scivolare in quella immane e presente tragedia.

 

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Pasquale Persico
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