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Il Punto di Arprocrate di Pasquale Persico/Il presidente Meloni e gli aggettivi per misurare il “paradigma”.

Il movimentismo della nostra presidente del Consiglio, e, soprattutto, la sua esposizione mediatica, cercano di allargare il campo della filosofia politica fino ad un tentativo teorico di inquadrare una possibile teoretica del senso, delle possibilità e della prospettiva della sua azione politica. Il suo  protagonismo in Europa, al di là delle esagerazioni sul cambio di paradigma – in atto, in Europa –  è da connettersi al nuovo modo di fare politica dell’Italia per risolvere gli annosi problemi che la  affliggono. Ma, forse, si avrebbe bisogno di un linguaggio capace di fare emergere la qualità del cambiamento, ancor prima della quantità. Mi viene in mente la necessità, attuale, di un economista che non c’è, ma somigliante allo scomparso Charles Lindblom – filosofo e economista particolare – cioè capace di sviluppare il concetto di probing, cioè il saper sondare, il saper rilevare, ed il saper valutare. Una metodologia da sviluppare non attraverso i sondaggi, ma attraverso la misura delle soluzioni ai problemi. La politica non sa sondare – direbbe il nostro amico economista – perché non ha gli aggettivi a cui, poi, corrisponde una esplicita misura del processo nella sua evoluzione, in positivo o in negativo. Un esempio semplice? La scoperta che l’Europa è una civiltà. Ma ad essa – l’Europa – non è stato associato nessun aggettivo qualificativo. In relazione, ad esempio, ai risultati della nuova politica sulla immigrazione, e facendo riferimento ai concetti di civiltà plurale di Camus e di Simone Weil, è evidente che se rimane ancora acceso il linguaggio sulla necessità di evitare la contaminazione etnica, il concetto di civiltà non viene accompagnato da una visione di  qualità ma da un disvalore, cioè di  civiltà chiusa, statica che  non è contemporanea.

Allora, la misura dei progressi di civiltà non deve essere rilevata in base alla propaganda di qualche buon risultato economico, senza specificare le corrispondenze. Nella stessa direzione vanno del parole senza aggettivo che accompagnano il nuovo approccio al Pnrr che è sinottico – direbbe l’economista citato – e non tiene conto della complessità dei temi in campo. Ritorna, quindi, in luce il tema: quali conoscenze devono essere mobilitate per l’azione territoriale? L’intreccio va reso esplicito, l’agire per conoscere non è sempre la logica di fondo praticata. Spesso dal processo di probing, di cui si è parlato, molte valenze sociali vengono escluse o non rese evidenti attraverso misure quantitative e qualitative.

Non a caso tutto il tema della revisione del Pnrr appare come una grande giostra su cui non è facile salire anche perché si moltiplicano le riserve sui processi di valutazione, e la pace politica, o l’accordo, arriverà solo quando la somma dei compromessi avrà raggiunto un numero limite.

Le soluzioni  dovranno trovare un aggettivo molto lontano dal caos, perché i saperi si saranno mischiati ai discorsi sui bisogni correnti e politicamente vincenti, e le misure del cambiamento avranno perduto il loro linguaggio di accompagnamento ai processi di qualità da misurare.


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