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Il Punto di Arpocrate di Pasquale Persico/Come salvare il patrimonio materiale-immateriale di Ugo Marano.

Al Madre di Napoli, la mostra su Ugo Marano, fino al 31 maggio, presenta, in maniera lodevole, un frammento importante della sua immensa produzione d’arte, soprattutto immateriale. Ho avuto la possibilità, qualche giorno fa, di esporre al presidente della Regione Campania un’idea a “semplicità moltiplicata”, investendo poche risorse su Casa Capriglia, la casa dell’artista, a Pellezzano. Io e Gillo Dorfles – a Firenze, nel lontano febbraio 2012, presso il Luogo dell’Arte OTTO di Olivia Toscani Rucellai – avevamo già espresso questa ipotesi. Gillo Dorfles aveva definito Ugo Marano un artista del Nuovo Secolo, capace di una riflessione simbolica a largo spettro, e abile a moltiplicare i temi dell’arte concettuale, anche   materiale. Il suo giudizio faceva riferimento alla sofisticata perizia artigianale dell’artista che appariva, quasi sempre, come trionfo della manualità. Per me la frase da ricordare sempre, anche insieme ad Ugo, è la seguente: breve è la vita, lunga è l’arte, a testimonianza che le opere di un artista, quando diventano difficili da enumerare come opere prodotte e lasciate, prima o poi manifestano la loro capacità di parlare, nel tempo lungo, d’arte e cultura.

Casa Capriglia a Pellezzano di Salerno, ben ristrutturata, rimane un’antologia significativa di opere parlanti, essa potrebbe essere aggregata ai musei della Campania, per la gestione e la valorizzazione, evitando il tempo lungo ed incerto di progetti da fare, e la ricerca di improbabili finanziamenti dedicati, fuori scala  a fattibilità ridotta.

Questa immensa ricerca, per la maggior parte delle opere, è stata sottratta ed è sottratta culturalmente, alla comunicazione di mercato, e la Casa vive, oggi, ancora come testimonianza contemporanea del tempo perduto, tempo con la p minuscola per Proust. Spesso l’artista veniva invitato, poco da me, a tirar fuori le sue opere per esporle, ma egli preferiva sempre andare alla ricerca del nuovo (vedi il Viaggio nel Parco del Cilento e nel Copparese). Questo tempo era per lui il Tempo ritrovato, Tempo con la T maiuscola nel senso di Proust. Per l’artista non c’era mai tempo per raccontare tutto il suo passato e le metamorfosi  concettuali che lui aveva vissuto per restare nel contemporaneo. Il “non c’è tempo da Perdere” di Ugo dovrebbe valere anche per tutti noi.

Ancora oggi, con responsabilità diverse, il patrimonio artistico lasciato e la sua funzione di testimonianza del tempo d’artista, dedicato, non sono stati messi al sicuro, direbbe Proust, come opera complessiva. La comunicazione è per frammenti, facendo diminuire la probabilità che le opere raccontino il Tempo lungo, concetto racchiuso nello sloga richiamato, “breve è la vita, lunga è l’arte”. La sfilata infinita delle opere di Ugo Marano, nella mia mente, chiede luce, esse possono vivere anche come patrimonio immateriale in territori immensi e far compagnia all’arte come nuova enciclopedia dell’urbanità da inventare.


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