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Il Punto di Arpocrate di Pasquale Persico/Camus, le città di Simone Weil, Draghi e la mancanza di speranza.

La speranza  di una civiltà plurale – a partire dalla cultura – era alla base del pensiero di Camus quando nel 1955 si recò in Grecia per la sua lezione sulla miopia dell’Europa che, nel dopoguerra, aveva partorito solo accordi economici. Lo stesso pensiero aveva alimentato tutta la ricerca militante di Simone Weil, lei pacifista per la sua fede nell’altro, come essere sacro; il suo pensiero radicale  l’aveva costretta a scendere in campo contro Hitler perché portatore del male assoluto. Draghi – con  il suo nuovo pensiero su come aumentare la produttività totale dell’Europa, per farla uscire dai discorsi stupiti sulle ipotesi di  crescita 0 – qualcosa, basata sull’idea dell’approccio smithiano allo sviluppo tecnologico per fare diventare le città e le periferie intelligenti, ha finito per perdere: lo slancio creativo necessario a rimettere in campo il suo prestigio di economista keynesiano contemporaneo.

A Caggiano la vettura  del sindaco con il carico di bandiere Ancor Camus ed una dose di libri di Simone Weil da portare a Città di Pieve, per Draghi, è ancora ferma. I venti di guerra hanno scoraggiato l’invio di un approccio poetico al nuovo modello di governance previsto per  l’Europa dai padri fondatori e dalle Costituzioni di molti Paesi aderenti al’Unione. Le frontiere si sono  chiuse, l’altro è un sospettato nemico e sono cresciute le motivazioni per una mancanza di speranza costruttiva. Ma quali sono le difficoltà di Draghi per fare camminare il suo pensiero maturato dopo l’esperienza di responsabile della governance di un Paese membro e fondatore? Se si prendono in considerazione alcune intuizioni di Alberto Giacomin – Il mercato e il potere. Le teorie della domanda effettiva di Boisguilbert, Cantillon, Quesnay Condividi – anche Draghi è costretto a rivedere alcune sue credenze paradigmatiche, per affrontare nuovamente il rapporto tra politica ed innovazione. La nascita del pensiero economico moderno a partire da Smith ha trascurato (e seguito da molti economisti di economia applicata) i temi della formazione storica della domanda effettiva di beni e servizi a vantaggio di una visione tecnologica dello sviluppo che è ancora oggi l’ideologia della proposta economica sulle città e le periferie intelligenti e competitive. Negli economisti  presmithiani, invece, era già presente l’idea che l’organizzazione economica della società dipendesse dall’assetto dei poteri politici emergenti, che decidono le regole di accesso alle risorse produttive per diventare monopolisti nascosti della politica, siano essi in democrazia che in autocrazia.

Da economista keynesiano moderno, Draghi si connette al pensiero classico e perde la speranza di un’Europa plurale. Un’Europa che sappia mettere mani a una nuova politica economica capace di orientare la domanda effettiva necessaria a dare alla produttività totale la sua possibile ripresa con le riforme, che danno accesso ai nuovi diritti di cittadinanza. Il suo silenzio è chiaro, l’Europa si è orientata a spendere oltre il 3% del Pil in armamenti e la stessa Italia ha deciso di aumentare il divario tra spese di ricerca e sviluppo per gli armamenti e le altre, per farle diventare quasi il triplo delle spese di ricerca e sviluppo delle Università e dei centri di ricerca diffusi sul territorio.

Allora anche Draghi ha perso la speranza?  E’ restato solo Papa Francesco nelle piazze del mondo, come peso politico residuo, ad alimentare la ricerca del pensiero possibile? L’Italia che non c’è,  continua a crescere, sebbene appaia immobile nelle decisioni e nelle proposte della politica economica. La prospettiva delle prossime elezioni politiche tiene quelli che io ho definito parassiti inutili, nel mio precedente contributo, fortemente impegnati a preferire la propria esistenza a quella dell’Europa e delle comunità plurali. Ecco il dramma nel quale siamo dentro e qualsiasi documento di proposta politica a speranza  controllata è destinato ad essere silenziato, ed è per questa ragione che lo studio di Draghi non può essere speso come nuova proposta politica da chi si candida alla presidenza del Parlamento Europeo, che pur quello studio aveva sollecitato.


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