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C’è qualche ipocrisia da smascherare e una buona dose di responsabilità da recuperare.
Il modello Ponte Morandi e il virus della burocrazia
I ritardi, le lentezze esecutive, le complicazioni che sono la croce quotidiana di ogni pubblico amministratore, di ogni investitore, finiscono per confermare un assunto: manca “il vigore dell’esecuzione”. Giudizio attuale, formulato, però, da Francesco de Sanctis, anno 1865. Storia di lunga durata.

di Mariano Ragusa

Non sparate sul burocrate. Non sparate – va da sé che si parla per metafore – sul corpaccione della pubblica amministrazione, eretto a mostro ostile e rallenta-tutto nel Paese ingessato che impiega anni per aprire un cantiere e quando lo ha aperto non è sicuro che l’opera finisca in tempi almeno accettabili.

Eppure oggi a sparare sono in tanti. La politica è il cecchino (almeno a parole) più spietato. Semplificare, snellire, accelerare. I verbi sono questi: pochi e ricorrenti nella retorica della politica che governa e che fa opposizione. E’ certo che serve semplificare, snellire, accelerare, oggi che il Paese impoverito dall’epidemia deve ripartire. E farlo al meglio. Le lungaggini burocratiche inflitte ad un programma di opere pubbliche sarebbero fatali.

Epperò si tratta di intendersi sul come tutta quella sequenza di verbi possa essere declinata al presente. E come, in che tempi e con quale qualità realizzativa l’invocato snellimento possa avere luogo. Per il momento c’è un titolo: Decreto Semplificazione. Lo ha annunciato il premier Conte a mezzo stampa. Ma tanto semplice la semplificazione non sembra vista l’assenza di date certe e di vicinanza di pensiero tra i partner della stessa maggioranza. In attesa di tavoli e vertici opportuna appare qualche riflessione su questo “mostro” che è la burocrazia e del rinnovato fuoco di fila che nei suoi confronti sta sparando la politica.

L’imperativo e l’ipocrisia.

C’è qualche ipocrisia da smascherare e una buona dose di responsabilità da recuperare. L’ipocrisia è quella dietro la quale si nasconde la politica. La detestata burocrazia è figlia delle sue decisioni. Delle leggi che vara. Della forma procedurale che imprime all’attuazione delle sue decisioni, e che la burocrazia media. Per cui mettiamola così: una burocrazia efficiente è figlia di una politica che all’efficienza ed ai risultati affida la propria capacità e credibilità.

La malaburocrazia è figlia, al contrario, se non di una mala politica certamente di una politica ondivaga tra il pensare di fare e il fare che non diventa fatto. I ritardi, le lentezze esecutive, le complicazioni che sono la croce quotidiana di ogni pubblico amministratore, di ogni investitore, finiscono per confermare un assunto: manca “il vigore dell’esecuzione”. Giudizio attuale. Formulato però da Francesco de Sanctis, anno 1865. Storia di lunga durata, quella della burocrazia.

Il gioco di specchi.

Smascherare l’ipocrisia con una ovvia verità, è solo il primo atto dell’analisi. Perché quel rapporto (politica-burocrazia) che in astratto appare lineare, in realtà mette capo ad un gioco di apparenze nel quale la politica che fustiga la burocrazia in realtà sta solo costruendo un alibi alla sua impotenza.

Lo “stile” della burocrazia è la sostanza della sua azione. Si è a lungo scritto, analizzato, criticato e ironizzato in questi giorni sul barocchismo, la ridondanza complicatoria dei testi dei provvedimenti legislativi emanati dal governo per intervenire sui problemi posti dall’epidemia.

Ed è altrettanto vero che la traduzione in atti della volontà legislativa troppo spesso mette capo a una selva di norme, codicilli, rimandi ad altre normative nel quale l’apparato burocratico cementa ed esalta il suo potere (autorizzativo e dilatorio).

Sabino Cassese, giurista e ministro della Funzione pubblica nel Governo Ciampi, ha rilevato – in recenti interventi sul “Corriere della Sera – l’eccesso e il primato dei controlli rispetto alla efficienza del risultato. La ritmica della legiferazione (attività della politica) procede per “accumulazioni e stratificazioni e mai per semplificazioni dei testi”. Un caso è il da più parti contestato Codice degli appalti. E’ un corpus di norme che integra lo schema della normativa europea con la normativa nazionale di settore.

L’aver derogato a questo quadro, agganciando ogni azione e provvedimento alla sola normativa europea, ha permesso il celebrato “miracolo” della spedita ricostruzione del Ponte Morandi a Genova. Potrà diventare questo caso un modello applicabile su larga scala al piano di opere infrastrutturali che il governo annuncia? E’ auspicabile. Che sia possibile dipende dalla volontà politica.

La riforma che manca.

Seguire questa strada porterebbe dritto il Paese ad una delle tante agognate riforme strutturali. Perché un cambio delle regole corrisponderà inevitabilmente ad un cambio di cultura della pubblica amministrazione. Il ministro Boccia si è mostrato deciso nell’indicare l’obiettivo: “Semplificare, snellire e controlli solo ex post”. Cioè limitare al massimo il filtro dei controlli preventivi (compresi contenziosi davanti ai Tar) riservandoli a opere ultimate. Una rivoluzione. O meglio, una autentica e rigorosa azione riformatrice. Ciò che Boccia auspica sarebbe esattamente il ribaltamento dell’attuale configurazione del sistema burocratico, modellato negli anni dalle decisioni della politica. Il cui obiettivo è stato quello di far dilatare il momento dei controlli a scapito di efficienza e produttività.  E’ un punto sul quale insistere.

I controlli sine die.

Ancora Cassese ha evidenziato questa tendenza tanto sul versante normativo che su quello organizzativo. Esempio del primo orientamento è stata l’adozione di “normative stringenti che – ha scritto il giurista – sfiorando l’irrazionalità, hanno ad esempio esteso le sanzioni previste per i reati di mafia anche ai reati contro la pubblica amministrazione”.

Sulla scia di questo indirizzo è, poi, maturata la creazione di strutture che hanno spostato il pendolo della decisione politico-amministrativa verso le competenze delle Procure “divenute ormai – sottolinea Cassese – decisori di ultima istanza dello Stato, capaci di aprire inchieste, non di chiuderle”. A cementare il percorso è arrivata l’istituzione dell’Autorità anti corruzione (Anac). Né è derivato un progressivo irrigidimento della gabbia burocratica che la politica ha però generato cedendo alla pressione del populismo giudiziario e della sua cultura del sospetto. E’ guarita da questo morbo la politica che oggi vuole “snellire e semplificare”?

L’ombra della corruzione.

Non sfugge, ovviamente, che la grande questione che fa da sfondo è la corruzione. Che è una innegabile piaga del nostro Paese e contro la quale va mobilitato ogni strumento legittimo. Il dubbio è che l’aumento di controlli non sempre combaci con efficienza di risultato.

Non si tratta di far tabula rasa di tutto bensì di trovare il ponderato equilibrio che insieme permetta di limitare il danno e favorire la realizzazione di interventi vitali per la crescita e lo sviluppo del Paese.

Se il quadro sin qui delineato ha una qualche plausibilità, è ben evidente quale debba essere l’impegno della politica governante nel traghettare il Paese fuori dall’emergenza Covid. Servono leggi semplici, minime e chiare. Che tutelino l’azione della burocrazia, dissolvendone la “paura della firma” (degli atti) per spingerne al massimo l’efficienza e la tempestività di azione. Solo così Ponte Morandi sarà un modello replicabile e non una autocelebrazione retorica. Avremo appalti e opere realizzate nella dovuta trasparenza. E non ci sarà bisogno di “sparare sul burocrate”.

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L'attesa della semplificazione
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