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Il festival di Sanremo, Zelensky, l’Ucraina e le leggi dello show in tv. Ma non è pubblicità-progresso.

di Mariano Ragusa

Tempo utile per un ripensamento ce n’è soprattutto alla luce di un crescendo di autorevoli opinioni che segnalano la inopportunità della iniziativa. Ma è difficile che si faccia macchina indietro. E così il presidente dell’Ucraina Zelensky interverrà online al Festival di Sanremo.

Come va intesa questa partecipazione? È il superospite destinato a far balzare lo share?

O piuttosto un gesto di militanza del Paese al fianco di una nazione in guerra perché vittima di una invasione da parte della Russia?

L’una e l’altra cosa. Ma non in parti uguali perché a dominare sarà la cifra dello spettacolo che ogni differenza elide ed omologa. Perché se finisci in uno show ne diventi parte alle sue regole e condizioni. Determinante è la percezione degli spettatori. Un Paese che mostra crescente disinteresse per la tragedia in Ucraina e che ha perso anche l’iniziale considerazione di un legame tra quella guerra e il rincaro di prezzi e bollette, insomma questo Paese guarderà l’intervento di Zelensky come uno spot pubblicità-progresso. È la regola della grammatica televisiva. Quella che i programmi istruiscono e i telespettatori condividono e alimentano.

Un attimo di emozione. Forse anche sincera. E poi avanti. Obbligo di media generalista. Non senza larghe inquadrature sul pubblico dell’Ariston in piedi e plaudente e carrellata sui vip in prima fila anche loro in piedi e plaudenti.

Se, poi, con un colpo di mestiere prossimo alla genialità, lo stranito Amadeus indossasse un elmetto, la nobile banalizzazione formato show tv, sarebbe un capolavoro riuscito. È Sanremo!

 


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