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I numeri dell'economia »

Nessuno (con specifiche responsabilità) ci ha saputo spiegare, fino ad oggi, quali saranno le conseguenze finanziarie della guerra.
Il “dubbio aumentato” e la sempre più difficile strada del Pnrr
Quanto, con quali costi - e a carico di chi - è ancora praticabile la transizione ecologica, che è anche sociale e politica (non dimentichiamolo)?

di Mariano Ragusa

Tra le tante incertezze che gravano su una guerra al momento senza prospettive di soluzione, qualche “dubbio aumentato” (per non parlare di certezza asserita) si delinea all’orizzonte delle nostre società. Dubbio aumentato grava sul percorso del Pnrr cui è affidata la chiave di volta della ripartenza dopo la pandemia. Come di recente ha ricordato Romano Prodi, il vulnus di quella ampia strategia sta colpendo quello che era stato individuato come il suo asse portante: la transizione green. Piegati dal virus si era immaginato di tenere insieme nuove e migliori tutele della salute umana con una rinnovata tutela dell’ambiente a partire dalla gestione dell’energia. Rinnovabili e fonti alternative restano una indicazione fondamentale. La guerra, con la vitale questione dell’approvvigionamento del gas, ha indotto un passo indietro per evitare il collasso. E quindi le “vecchie” fonti energetiche (a cominciare dal carbone) si ripropongono come lo strumento di “sopravvivenza” dei nostri sistemi produttivi e delle nostre abitudini di vita.

Le retoriche belliciste.

Al di là di risibili retoriche sul “Pnrr di guerra”, al momento nessuno che abbia specifica responsabilità ci ha saputo spiegare quanto i costi collaterali ed indiretti della guerra graveranno sui bilanci nazionali e comunitari e di conseguenza in quale misura essi incideranno sul Pnrr. Non si tratta, come è evidente, di questione di mera contabilità. La necessità di cambiare le poste in bilancio trascina con sé cambiamenti e possibili decurtazioni sulle varie voci di investimento.

La resilienza incoraggiata dal Pnrr fino a dove ci potrà spingere?

L’interrogativo ne richiama un altro. La variabile guerra con l’annessa questione cruciale dell’energia, in che modo rimodellerà il Piano non solo nella sua interna strutturazione ma nelle modalità di sostenibilità che – non dimentichiamolo – graverà sui bilanci dei singoli Stati giacchè non è tutto danaro a gratis ma erogato sulla base di rientri ed ergo costi da accollarsi. La catena è complessa. Tutti legati ad esso sono i destini degli Stati e delle società. In assenza di azioni perequative il rischio evidente è la riproduzione dei disallineamenti e delle diseguaglianze che volevamo combattere cogliendo a pieno l’opportunità generata dalla pandemia.

Il dibattito pubblico non sembra interessato ad affrontare le questioni che, in schematica sintesi, sono state evidenziate. L’agenda delle priorità è inevitabilmente polarizzata sulla guerra e sulla sua auspicabile soluzione. Il resto dei temi altrettanto inevitabilmente volteggiano benchè se ne abbia consapevolezza.

Cambiare sguardo.

Una sguardo plurale alla fase che stiamo attraversando è tuttavia necessario quanto urgente. Le cose si muovono. E occorrerà non farsene travolgere.

Il premier Mario Draghi è stato mediaticamente “impallinato” per quella frase che disegnò l’alternativa tra la pace e i condizionatori. La questione vera era ed è quella posta con quel pensiero iper-semplificato ma assai prossimo alla realtà dei fatti. Detta altrimenti la questione è: quanto, con quali costi e a carico di chi è ancora praticabile la transizione ecologica (che è anche sociale e politica: non dimentichiamolo) che l’incipiente crisi climatica ci impone come un obbligo e che la guerra aggrava.

Abbiamo bisogno di un cambio culturale di prospettiva. Dobbiamo provare a liberarci di schemi lineari nel leggere la realtà per potervi agire responsabilmente ed utilmente. Non esiste in assoluto un Progresso che garantisce percorsi di miglioramento. Siamo invece portati a pensare il contrario. Per bisogno di sicurezza e di consolazione. Per questa ragione, anche nel linguaggio comune ma non solo in quello, parliamo della Pandemia come qualcosa di passato, di una esperienza conclusa ed archiviabile. Le evidenze che confermano la presenza persistente del virus ci sembrano residuali effetti collaterali, ultimi rantoli del “mostro malattia”. Eppure di lezioni sul nostro modo di vivere, di gestire la sicurezza sanitaria e tutelare la salute, il virus ne ha impartite molte. Che sono diventate? Solo materia di dotti uffici studio?

Lo stesso teatro.

Sulla strada del dopo-Covid è piombata la guerra. Materia diversa, assai diversa. Ma in discussione ci sono molti fattori comuni. Uno su tutti: il governo di questa nuova complessità. La vita e il potere. La sopravvivenza e la costruzione di società ed istituzioni che la garantiscano. E’ questo il tema che si replica dopo il teatro della pandemia in quello allestito dalla guerra.

 

 

 

 

 

Foto Pnrr
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