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di Pasquale Persico
Filippo Cecere, nel lontano 1997, scelse una strada drammatica per parlare della città solo enunciata. Un fascio di liriche fu raccolto, in sua assenza, per diventare un libro di poesie; l’artista Ugo Marano le accompagnò disegnando una stella ad otto punte. Una di queste poesie può introdurre, ancora oggi, l’atmosfera vissuta martedì scorso in Parlamento, per commentare, poi, ponti nuovi da costruire per entrare nelle nuove città dell’Europa, continente oggi, nonostante il nuovo impegno, ancora in cerca della città che verrà.
Un altro volo/lo spartiacque dell’equilibrio di Yalta /divise in due la Terra/ Separata la sabbia dall’oceano/non potremo più vivere/ dei tiepidi riverberi del bagnasciuga/ L’enorme distesa d’acqua sovietica/ abbaglia gli occhi/di ignoti turisti solitari/mentre l’acido disciolto nella fede di partito/corrodeva/ le fragilità delle città solo enunciate/ Avessi imparato a volare.
Ebbene, Avessimo imparato a volare, potrebbe essere il titolo del discorso di Draghi.
Il tema del dualismo Occidente/Non Occidente è tornato in campo e si è proposto di volare verso un nuovo modello di cooperazione a struttura multilaterale tra nazioni capaci di dialogare sui grandi temi del nuovo modello di sviluppo e della politica economica dei continenti. Un nuovo G-Nazioni che ben sostituisca l’Onu.
L’Europa che verrà dovrà essere più protagonista e più sicura di sé: non solo armi, ma bisogna guadagnare autonomia come continente che parla con un nuovo peso specifico, oggi ancora inesistente, perché essa è agganciata ad un Occidente ad ideologia statica a specchi multipli. L’economia che verrà non sarà più quella del PNRR dimagrito ed asciugato dalle emergenze; le nuove economie di scopo e di diversità dovranno fare un salto di scala verso una città bastevole e le parole da rigenerare per farle diventare linguaggio del futuro sono ancore parole mutole, senza i segni specifici da condividere.
Le parole solidarietà e sussidiarietà sono apparse vuote e a sprazzi nelle conferenze Stato-Regioni, il modello di governance strategico non in coerenza con la nuova costituzione europea; e quelle parole sono nuovamente scomparse nei riparti delle risorse del PNRR; si annuncia un futuro di economia di guerra per nascondere l’incapacità di mettere sul piatto i nuovi temi della transizione ecologica connessa alla redistribuzione dei beni, benessere di comunità larghe. L’equità sociale rimane ancora un miraggio, basterebbe citare il tema della riforma del catasto o del diritto allo studio ed alla salute; ma Draghi non si è tirato indietro e ha parlato della città che verrà come speranza per l’Ucraina disegnando ipotesi da portare ogni giorno a Bruxelles e nel mondo.
Un nuova multilateralità redistributiva deve diventare soggettività istituzionale riconoscibile, con l’Europa ispiratrice di un nuovo modello globale più equo; con la voce della finanza anarchica e speculativa che deve affievolirsi, perché sa parlare, anche, di partecipazione ai temi dello sviluppo delle città del mondo finalmente in rete di progetto. Città metropolitane in rete ecologica – nelle eco-regioni di riferimento – non dovranno più moltiplicare i luoghi del terzo paesaggio e far diventare impossibile la cucitura ed il rammendo tra centri e periferie.
In sintesi, il discorso di Draghi è stato molto semplice: come faremo a saper volare fino all’Ucraina e a portare il nostro nuovo saper costruire città bastevoli?

Pasquale Persico