contatore visite free skip to Main Content
info@salernoeconomy.it

I numeri dell'economia »

Mentre la Pandemia e la crisi economica richiedono, se ne vogliamo davvero uscire con un cambiamento, visione strategica e trasparenza.
Il demiurgo Draghi e la litania dei soliti “cattivi” partiti
Il venticello del conformismo soffia in favore del premier. Il governo rallenta il passo? Si attribuisce la colpa alle diverse formazioni politiche che sul terreno della legge di bilancio avrebbero ridato forza a pratiche di allegra gestione delle risorse. Ma non è attraverso la loro funzione che si organizza la democrazia nel nostro Paese?

di Mariano Ragusa

Spira un venticello di conformismo nel dibattito pubblico concentrato su un passaggio nodale delle scelte di governo: la legge di bilancio e la riforma del fisco.

Quel venticello, animato da opinionisti, commentatori e performer da talk-show, soffia (e non è una novità) in favore del premier Mario Draghi. Si manifesta, questo venticello, con castigati rilievi critici ma tutti preoccupati di proteggere il premier dai marosi della politica dei partiti e finalizzata a riconsacrarne la figura nel pantheon delle “certezze indiscutibili”. Molto semplificando, il pensiero dominante è così sintetizzabile. Il governo Draghi rallenta il passo perché pressato ed ostacolato dai partiti che proprio sul terreno della legge di bilancio avrebbero ridato forza ai vecchi appetiti ed alle vecchie pratiche di allegra gestione delle risorse.

La partita su debito e Pnrr.

L’osservazione merita attenzione. Il terreno della dinamica politica è segnato dall’approvazione di una legge che guarda a due obiettivi intimamente connessi. Il primo pone al centro la necessità di iniziare a mettere in ordine i conti pubblici stressati da un aumento vertiginoso del debito e introdurre le non più rinviabili misure di sviluppo e di equità a vantaggio dei redditi medio-bassi. Come queste questioni saranno affrontate e quale sarà il percorso per realizzarle, spiegheranno l’indirizzo che il Paese intenderà darsi per il futuro. Da queste scelte – ed ecco il secondo obiettivo – deriverà la cornice entro la quale si muoverà il Pnrr con le tante salvifiche promesse che reca con sè per la crescita del Paese.

I cattivi partiti.

Ora, è ben vero che da parte dei partiti più che ponderate e credibili proposte si sono sentiti in queste settimane annunci e rivendicazioni finalizzate a tenere mobilitato il proprio elettorato. Abbiamo assistito ad una girandola di pretese di spesa senza mai chiaramente spiegare dove attingerne le copertura.

Ma è pur vero che tale inclinazione di politica politicante non può essere assunta a legittimazione di una critica tout court del sistema dei partiti come invece sembra emergere nel tono dominante del discorso pubblico. I partiti non godono di grande considerazione da parte dei cittadini. I dati dell’astensionismo, rilevato alle ultime amministrative, lo certificano drammaticamente. Ed è pur vero che di fronte a quel campanello di allarme nessuno sforzo di auto-ridefinizione viene dalle forze politiche. Tuttavia restano i partiti lo spettro attraverso il quale si organizza la democrazia nel nostro Paese.

I limiti del demiurgo.

Draghi rappresenta – anche questo argomento abbiamo più volte ascoltato – una opportunità per il sistema politico chiamato a modernizzarsi e radicalmente mutare nel suo modo di farsi interprete della democrazia e canale di partecipazione dei cittadini. E’ un processo complesso non una pratica di laboratorio. Draghi tutto può fare (o tentare di fare) tranne ridisegnare la mission e le culture fondanti dei partiti. Se invece, pur non esplicitamente, è questo l’auspicio che formulano e muovono pezzi importanti dei media e dell’opinione pubblica, allora vuol dire che prende corpo un progetto che va molto oltre l’orizzonte della legge di bilancio (con annessa riforma del fisco) e la gestione del Pnrr.

Quel progetto – ancora informe se non per opinioni qua e là emergenti – tocca direttamente l’assetto istituzionale del Paese.

Il governo Draghi, il braccio di ferro (felpato) che sulla legge di bilancio è in atto con i partiti e i sindacati, le stesse strategie per il Quirinale (con il premier candidato alla successione di Mattarella) letti in un quadro di insieme suggeriscono che si stia cercando di materializzare quella idea di “presidenzialismo di fatto” evocato dal viceministro Giorgetti, uomo nuovo della Lega post salviniana.

Un Draghi al Quirinale comporterebbe “di fatto” una declinazione in questo senso della nostra Repubblica senza passare attraverso il vaglio di una riforma istituzionale. E di questo si tratterebbe perché i sostenitori dell’opzione immaginano un percorso fin troppo lineare in base al quale il premier dal Colle manterrebbe influenza e potere sulle strategie del Pnrr con delega esecutiva a una qualche figura autorevole e competente venuta alla ribalta con il suo governo. Un percorso complicato e per taluni aspetti rischioso. La possibilità di riuscita sarebbe affidata ad un paradosso. Che il sistema politico condivida e reiteri la perdurante situazione di emergenza e, conseguenzialmente, di un governo di unità nazionale pur passando su altro scranno la figura che sino ad oggi ne è stato il garante. Il pensiero non è, sul punto, unanime. Qualche partito ha già fatto sapere che con Draghi al Quirinale si va ad elezioni generali. Posizione che, al di là del tatticismo che pure la anima, appare ragionevole e logica se ovviamente riteniamo che il modello istituzionale del Paese sia quello della democrazia parlamentare.

La regola dei fatti.

Tuttavia la storia ci insegna che, talora la “Costituzione materiale” ecceda e superi per vie inesplorate la “Costituzione formale”, si crea un intreccio che trova comunque una qualche stabilizzazione. Forse però non è tempo di tattiche. La Pandemia e la crisi economica richiedono, se ne vogliamo davvero uscire con un cambiamento, visione strategica e trasparenza della progettualità. Ma anche, forse soprattutto, di un assetto istituzionale e delle decisioni che non si strutturi per “via di fatto” ma per “regole” (ovvero: riforme e leggi) proiettate sul tempo lungo.

Che Draghi debba avere a che fare con i desiderata (buoni o cattivi, questo è secondario) dei partiti è materia propria di un premier che guida un governo di coalizione a maggior ragione se anomala. E quindi dovrà semplicemente trattare, mediare, aggiustare il tiro e migliorare proposte per costruire un quadro di decisioni coerente e, soprattutto, efficace rispetto ai problemi del Paese. Ciò tuttavia non impedirà che il discorso pubblico tenda a sostenere il premier contro i partiti “cattivi” per definizione.

Abbiamo vissuto un’altra stagione nella quale la cultura anti-partiti ha alimentato e avvelenato il Paese: la stagione aperta da Tangentopoli e linearmente sfociata nel populismo i cui danni stiamo ancora pagando. In un segno diverso, magari di efficientismo tecnocratico e “semipresidenziale di fatto”, è un rischio che forse non possiamo permetterci di correre.

 

 

Pres_Draghi_bio_0
Il presidente del Consiglio, Mario Draghi
Back To Top
Cerca