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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Occorre ripartire, senza sbagliare. Non è semplice, anzi è molto difficile. Ma altre strade, a questo punto, non ce ne sono davvero più.
Il debito ci rende subalterni, troppe perplessità
Nella condizione effettiva del fratello povero, si consolida il timore che, alla prova dei fatti, i troppi impegni (economici) mai riusciranno a rimettere in campo la forza giusta e utile per consentirci di correre - non camminare - in quello che resta un vero e proprio caos politico rispetto alla programmazione/attuazione dei progetti Ue.

Contenimento dei cicli negativi, strutturazione di percorsi di crescita sempre più complessi (ma realmente programmati), lenta e inesorabile rimozione di tutti quegli elementi negativi che, alla fine, determinano il rallentamento eccessivo del sistema-Paese. A ben vedere, il quadro di insieme delineato da tutti i partiti (tutti), alla fine, coincide sempre con il buon senso e, nello stesso tempo, con quello che l’Europa – ormai oracolo di riferimento – ha già previsto e intarsiato per ogni singolo Stato-piattaforma produttiva e, quindi, contributiva, rispetto alla traiettoria che si è deciso di intraprendere. Non è che ci possa essere un del tutto garantito motivo di diffidenza rispetto a quanto l’Europa ha già scritto e che riguarda, ovviamente, anche noi. Ma è giustificabile, va detto, un’ombra di dubbio preventivo, sempre più ampia. Che, intanto, si diffonde non solo da queste parti (rispetto a quanto, complessivamente, è intenta a propagare l’Ue).

E’ del tutto evidente che la condizione subalterna nella quale continuiamo a vagare (sempre dovuta all’espansione del debito pubblico), non ci consente di assumere atteggiamenti, per così dire, “arroganti” rispetto alle sintesi che, in termini di calcoli, riaffermano da anni il difficile stato delle cose nel quale la Penisola naviga ed appare pronta, conti alla mano, a naufragare. Il processo di indebitamento è talmente colossale che non consente – è questa la verità – di operare e progettare e provare a realizzare, senza scontare la diffidenza europea (mondiale, a dire il vero) che assume mille (sempre giustificati) travestimenti.

In altre parole, rispetto al fratello povero, emerge e si consolida il timore che, alla prova dei fatti, i troppi impegni mai riusciranno, prima o poi, a rimettere in campo la forza giusta e utile per consentirci di correre – non camminare – in quello che resta un vero e proprio caos politico (tipico) rispetto alla programmazione sistemica dei progetti Ue.

A volte, la sorpresa che appare di fronte a dati, per così dire, buoni per il percorso economico immaginato ed intrapreso, è più ampia dei commenti più razionalmente cauti.

Il peso reale delle cose (del debito raggiunto) appartiene, almeno in linea di principio, alla politica, non al più generale contesto economico, come pure, invece, si prova spesso ad argomentare, dimostrando solo l’ipocrita presa d’atto che ciascuna delle parti in causa, in fondo, pensa a se stessa: la politica alla politica, le imprese alle imprese, per fare gli esempi primari.

E in mezzo scompare tutto il resto.

Insomma, non c’è davvero più tempo da perdere, proprio perché se ne è perso troppo: manca sempre la parola che può delineare l’unico percorso che è rimasto di fronte a tutti noi: responsabilità.

Occorre ripartire, senza sbagliare. Non è semplice, anzi è molto difficile. Ma altre strade, a questo punto, non ce ne sono davvero più.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

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