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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Il vero problema in Campania resta la mancanza di dialogo tra i vari livelli istituzionali
I “duetti” inconcludenti
Senza l’interscambio di idee e progettualità che cosa sono diventati i Comuni, le Province e le Regioni? Luoghi deputati ad attuare le strategie elettorali di chi ha “conquistato” e colonizzato questi Enti ridotti ad articolazioni primarie dei partiti.

Appare ben chiaro, ormai, che dovremo attendere che si consumi fino in fondo la “sceneggiata” elettorale affinché in Campania si possa tentare di ragionare in termini meno effimeri (e, soprattutto, meno mediaticamente funzionali) dei problemi che sono sul tavolo da fin troppo tempo. Non si tratta di calcare troppo la mano o di reiterare luoghi comuni del “racconto” della politica nostrana: il duetto andato in scena sul palco del teatro Verdi martedì scorso tra Vincenzo De Luca e Stefano Caldoro in occasione dell’assemblea pubblica degli industriali, piuttosto, è stato utile per comprendere l’origine di una buona parte dei mali endemici che attraversano e condizionano la filiera istituzionale che ci governa. Il predominio dei partiti personali e delle relative leadership (nel bene e nel male) si è tradotto in una “dialettica” che finisce per influenzare negativamente (se non per annullare) il confronto di tipico tecnico ed amministrativo necessario, invece, a fare viaggiare progetti ed iniziative indispensabili alla crescita del sistema economico e produttivo. In altre parole, l’identificazione del leader nell’istituzione che rappresenta costituisce il limite di ogni tentativo di dialogo finalizzato alla realizzazione di cose, di fatti e non alla propagazione di un messaggio auto-promozionale (ed autoreferenziale) continuo ed ininterrotto. Un esempio pratico: Comune e Regione litigano per attribuirsi la paternità di opere ed interventi: chi ha stanziato i fondi; chi ha elaborato ed approvato il progetto; chi ha tagliato il nastro e via dicendo. Perché? Perché, evidentemente, la Regione, il Comune non sono più il luogo istituzionale e “neutro” dove si fanno prima di tutto gli interessi dei cittadini, ma si configurano, invece, come il pulpito, il palco, la passerella dalla quale proclamare il predominio politico del presidente e del sindaco. Con quali risultati? Guerre di cifre sull’effettiva spesa dei fondi europei; mancanza di obiettività rispetto ai numeri e ai conti dei bilanci; scarsa “propensione” a riconoscere l’effettivo perimetro dei ruoli e delle competenze reciproche.E’ in questo contesto che si inserisce il tema vero che ha fatto da sottotraccia al dibattito sviluppatosi durante la manifestazione confindustriale: la crisi di identità di tutti quei corpi intermedi (partiti, sindacati, associazioni di rappresentanza, organizzazioni civiche di liberi cittadini) che per decenni hanno avuto – tra gli altri – il merito di “condizionare” e di controllare in maniera più diretta l’operato delle Istituzioni e dei loro vertici. Senza l’interscambio di idee e progettualità che cosa sono diventati i Comuni, le Province e le Regioni? Luoghi deputati ad attuare le strategie elettorali di chi ha “conquistato” e colonizzato questi Enti ridotti ad articolazioni primarie dei partiti, della politica e dei gruppi di potere che hanno la capacità di interagire direttamente con le Istituzioni più utili alla concretizzazione dei loro interessi. La strategia della disintermediazione del dialogo e del confronto, la demonizzazione delle cinghie di trasmissione (i corpi intermedi), la promozione ad oltranza del verticalismo decisionale sono la chiara dimostrazione del declino del concetto di comunità locale in senso coesivo ed inclusivo. Altro che costruzione del capitale sociale, altro che valorizzazione delle identità produttive, altro che “cultura dei luoghi”. Il consolidamento delle leadership personali e dei partiti “liquidi” nei territori in ritardo di sviluppo – come la Campania e la provincia di Salerno – favorisce la polarizzazione della capacità reddituale e l’emarginazione delle legittime aspettative dei più deboli. E’ un problema trasversale a tutti gli schieramenti, ma che investe principalmente quello che resta del socialismo riformista travolto dalla “insostenibile leggerezza” del renzismo. Renzismo che in Campania si è tradotto semplicemente in tante fulminee illuminazioni sulla via di Firenze che hanno soltanto mimetizzato la frantumazione correntizia dei democrat sopravvissuta a se stessa ed ancora ben viva e vegeta. Rimedi? Soluzioni? Difficile la risposta. Ma quello che è certo è che gli attuali protagonisti della scena politica locale e regionale non hanno alcuna intenzione di cedere nemmeno un millimetro delle privilegiate posizioni di potere che hanno saputo negli anni consolidare. Va bene il dialogo ed il confronto, vanno bene anche i duetti sul palco del Verdi, ma solo a patto che a dare le carte siano sempre loro. Per la valutazione dei risultati ai quali si è giunti in Campania ed in provincia di Salerno sarebbe utile dare uno sguardo ai dati Istat o alle analisi di Unioncamere (ma questo a loro proprio non interessa, soprattutto in piena campagna elettorale).
ERNESTO PAPPALARDOdirettore@salernoeconomy.it

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