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Sviluppo/L’analisi di Unioncamere sulle dinamiche dei sistemi produttivi locali
I Distretti battono la crisi, ma le istituzioni segnano il passo

Si fa un gran parlare di modelli di sviluppo che tirano in ballo il Mezzogiorno e ci si imbatte in dibattiti sempre più per “specialisti”. Sudismo e Meridionalismo sono le categorie del più recente paradigma narrativo che tracima da giornali/tv/radio/web. Una riflessione estremamente utile in un momento di grande confusione politico/istituzionale, peraltro imbarbarita da presunte “guerre” di territorio che non giovano a nessuna delle comunità in causa (vedi alla voce Autorità Portuale Napoli/Salerno). Eppure, è proprio il territorio che continua, invece, a lanciare segnali estremamente concreti con l’indiscutibilità dei numeri e delle analisi in base ad indicatori adeguati alla descrizione di quella che è la realtà economica e produttiva delle regioni meridionali e della Campania. I distretti, per esempio, si confermano veri e propri baluardi rispetto alle varie ondate della crisi – che da queste parti non appare affatto domata (con buona pace dei vari predicatori della “ripresa da agganciare a tutti i costi”) – così distruttive al Sud. Secondo l’analisi di Unioncamere il distretto di Nocera/Gragnano si colloca, appunto, nella top ten nazionale. Che cosa significa?In realtà, se non ci si perdesse con sempre maggiore disinvoltura dietro la ricerca di nuove ricette per rilanciare l’economia del Mezzogiorno, non sarebbe neanche una notizia così nuova. Perché è talmente chiaro che in provincia di Salerno tra gli asset principali va annoverata la filiera agro/industriale, che non si dovrebbe proprio perdere altro tempo nel mettere a punto interventi strutturali mirati a sostenere questo ambito produttivo nel migliore dei modi possibili. Come? Partendo dalle “piccole” cose di tutti i giorni che da anni si ripetono nei convegni, nei documenti, nelle “piattaforme” programmatiche etc etc: reti elettriche adeguate al traffico attivato dall’utenza industriale; reti digitali veloci; circuiti infrastrutturali funzionali alla realizzazione di un disegno di logistica integrata (porto/aeroporto/intermodalità di passeggeri e merci); attivazione di politiche di marketing e di internazionalizzazione unitarie anche vincendo l’integralismo individualista della base produttiva. Questo è l’elenco minimo delle cose che andrebbero fatte di corsa perché il ritardo accumulato è semplicemente vergognoso.
E, invece, che cosa si fa? Si mettono in campo falsi problemi, si cavalcano le crisi ad alto tasso di valore aggiunto mediatico, si inventano concertazioni che molto spesso non fanno i conti con il contesto di deindustrializzazione avanzata. Siamo ancora ai vecchi riti che non risolvono nulla, perché sul tavolo che conta – che è quello regionale – la provincia di Salerno semplicemente non c’è in maniera persistente e propositiva. E non certo per la sola responsabilità di quel “napolicentrismo” che ancora viene evocato senza calare a terra alternative progettuali in grado di delineare il giusto equilibrio tra la metropoli (Napoli) – che resta indiscutibilmente il riferimento economico e produttivo principale non solo a livello regionale – e le altre aree della Campania tra cui indubbiamente Salerno e la sua estesa provincia si configurano come area vasta pluri/vocata e ricca di eccellenti cluster competitivi (non solo nell’ambito dell’agroalimentare).
Perché accade tutto questo? Le ragioni sono molteplici, ma risulta prevalente la frammentazione della soggettività politica ed istituzionale nel momento della tutela dei legittimi interessi del territorio. Alla mancanza di un reale disegno di sviluppo condiviso – almeno sulle priorità da candidare a valere sui fondi europei (solo per fare uno sciagurato esempio) – si aggiunge una resiliente miopia: non si riesce, cioè, a guardare lontano, ma si preferisce curare gli interessi di breve periodo, concentrando la pur necessaria dialettica nel momento dell’”appropriazione” della leadership mediatica dei singoli problemi. Per, poi, inesorabilmente sgonfiarsi e defilarsi negli step successivi che di solito preludono alla marginalizzazione di Salerno (e della sua provincia) nei processi decisionali capaci di incidere a livello strutturale sul futuro delle nostre comunità.
Non accade questo a Napoli, quando si tratta di fare quadrato intorno agli interessi della città. Non accade questo al Nord dove la Lega dei primi tempi ha radicato un vero e proprio “sindacato di territorio” di cui anche gli altri partiti, nel corso degli anni, spesso strumentalmente si sono appropriati.
Ecco, la vera novità politico/culturale potrebbe essere proprio questa: l’avvio di una nuova stagione di protagonismo delle rappresentanze (politiche, imprenditoriali, sociali, culturali) della nostra provincia nel segno di un unico e condiviso interesse: non in difesa del territorio, magari spingendolo all’arrembaggio di chissà quali improbabili obiettivi; ma per sostenerlo con un sintetico progetto di rinascita fondato sulla solida disponibilità dei fondi europei 2014/2020 e su un elenco di pochissime priorità insistenti su quelle due/tre certezze che abbiamo in termini di eccellenze produttive (agro/industria; turismo; manifatturiero di qualità trasversale ai vari comparti etc etc).
La sensazione è che tra una campagna elettorale e l’altra (europee a breve, regionali il prossimo anno, solo per citare le più importanti) finirà con il prevalere la solita “passione” per gli orticelli e per le siepi invalicabili. Ma la speranza – si diceva una volta – dovrebbe essere l’ultima a morire.
ERNESTO PAPPALARDO
direttore@salernoeconomy.it

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