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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Siamo completamente immersi in un ciclo di eventi/fatti di cui non siamo proprio in grado di cogliere la reale, effettiva portata.
Hanno tutti già deciso, difficile cambiare le cose . . .
La battaglia di cui cogliamo probabilmente solo i rumori più pratici ed inevitabili, sembra sempre concludersi sulle spalle dei meno forti, di quelli che - per esempio - si ostinano, meritoriamente, a pagare le tasse, camminando con ostinazione sulle stesse sostanze che generazioni e generazioni hanno provato a mettere insieme.

E’ come se il file dell’economia aggregasse, giorno dopo giorno, non tanto idee, progetti, ipotesi di sviluppo e occupazione, ma soltanto parole (e numeri magici) da spendere – in un senso (positivo) o nell’altro (negativo) – sul mercato dell’informazione, che sfoggia sempre numeri rilevanti di utenti in cerca di qualcosa di buono rispetto alle proprie scarse finanze. Questa fenomenologia si ripete rispetto a qualsiasi problema si intenda affrontare, senza confrontarsi – sia ben chiaro – con il contesto più generale, un’area più ampia di allarmismi (o veri e propri virtuosismi) provenienti dalla cronaca quotidiana, spesso inconciliabile con la riflessione documentata e a largo raggio e meno costretta rispetto alle esigenze di conquistare credibilità primariamente attraverso la divulgazione autorevole e accreditata di mass media importanti. E’ in questo quadro preciso, quindi, che si inseriscono una serie di eventi – comunicazionali – che è davvero difficile cogliere per davvero nel momento in cui accadono e rivelano di solito la loro reale entità. Siamo, cioè, completamente immersi in un ciclo di cose – vere, false, a metà vere e false? – di cui non siamo proprio in grado di cogliere la reale portata. Ed è proprio questa enorme propulsione di fatti e di cose – che, pure accadono,  autonomamente per quanto riguarda la cronaca o gli avvenimenti che sono, per così dire, il frutto di conseguenze di eventi non del tutto prevedibili – che finisce per condizionare l’esatta interpretazione delle notizie che si succedono. La sensazione è che il circuito mediatico – ma anche su questo punto è bene evidenziare che non ne esiste solo uno – locale, regionale, nazionale, “indipendente”, “non del tutto indipendente” e quanti altri ancora – anche se in pole position si ritrova, naturalmente, quello più collegato con le fonti fortemente interconnesse con i vertici politici e istituzionali del Paese – e che, sia chiaro, di giorno in giorno rendono la partita aperta. Non sempre (quasi mai) vince quello più adeguato rispetto alla categoria di notizie che si è guadagnata la temporanea primazia.

E’ esattamente, quindi, in questa complessità di cose che si avvertono volta per volte gli accadimenti predominanti, quello che diventano piano piano riferimenti precisi rispetto alle vere cose che sono accadute, che accadono, che possono accadere o non accadere, ma che intanto influenzano fatti concreti, persone, carriere, vittorie e sconfitte. Emergono anche domande importanti, orientate, quasi sempre, da aspettative interessate, che prendono in considerazione non tanto gli interessi generali delle comunità, che pure meriterebbero la massima e prevalente attenzione, ma, soprattutto, gli interessi di quei pochi gruppi davvero dominanti che comandano e si pongono il quotidiano problema di uscire illesi (nel breve, ma anche nel medio e lungo periodo) dalle battaglie che hanno in corso. Ci hanno già spiegato che, per esempio, la stessa politica non conti davvero molto, come da tanto tempo tendono a raccontare non in pochi: dall’inizio dello sforamento del debito pubblico in Italia? Poco prima del principio degli anni ’70, dicono gli esperti. I grandi personaggi dell’economia, che, in fondo, svolgono il loro mestiere contrastando uno dei rischi più alti esistenti al mondo? Forse è tutto molto più complicato di come ci appare. O più semplice, appeso al filo delle cose che dovrebbero per buon senso accadere e, invece, prendono la strada non prevista prima.

Ma, intanto, la battaglia di cui cogliamo probabilmente solo i rumori più pratici ed inevitabili, nel frattempo sembra sempre concludersi sulle spalle dei meno forti, di quelli che – per esempio –  si ostinano, meritoriamente, a pagare le tasse, camminando con ostinazione sulle stesse sostanze che generazioni e generazioni hanno provato a mettere insieme. Oppure ci rendiamo conto che, alla fine, i più deboli e un tempo rumorosi guardano il mondo accadere, manifestarsi e non dicono o fanno più nulla. Sopravvivono e basta. Forse si sono arresi e non hanno più niente, proprio niente, da inseguire. Hanno già deciso di dire: va  bene così. E riescono ad andare lo stesso avanti.

E’ questo, almeno pare, il vero inizio dell’anno che verrà.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

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