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I numeri dell'economia »

Come continua a cambiare lo scenario partitico, mentre il mondo è di nuovo ad un passo dall’abisso.
Guerra e Pnrr, i conti da rifare e il teatrino della politica
Nello sfacelo della pandemia aveva preso forma una credibile e fondata prospettiva di ripartenza. Ma il Piano nazionale di ripresa e resilienza - portatore di salvezza - è ancora in grado di reggere gli effetti della nuova emergenza bellica?

di Mariano Ragusa

Neanche una settimana dopo l’invasione russa in Ucraina, e rilevandone i primi effetti collaterali sul mercato, il premier Mario Draghi aveva avvertito il Paese: andiamo verso una “economia di guerra”. Povertà, aumenti talora scriteriati di materie prime e beni di consumo di massa, si sono subito materializzati come realtà con le quali duramente fare i conti.  E il Paese li sta facendo con le cifre degli indicatori economici rivolti ora al negativo dopo le speranze accese appena qualche mese fa. La paura e gli interrogativi crescono. In primis ovviamente per le prospettive della pace. E in sequenza per un mondo di nuovo in bilico.

L’Europa era riuscita a costruire un ponte solido attraverso il quale transitare dallo sfacelo della pandemia ad una credibile e fondata prospettiva di ripartenza. Quel PNRR portatore di salvezza è ancora in grado di reggere gli effetti della nuova emergenza prodotta dalla guerra?

E la politica, già la politica, come sta interpretando il ruolo che le è richiesto? Il tema è vasto e complesso. Impraticabile in questo spazio dove ci limiteremo a qualche sottolineatura problematica sui comportamenti di taluni attori di partito. Un tour tra i nodi che si aprono, compiuto in sintetici capitoletti.

Lo scenario.

I dati più recenti hanno il suono del pericolo. L’inflazione e l’invasione russa in Ucraina schiacciano le stime 2022 del governo sulla crescita intorno al 3% rispetto al 4,7% di ottobre. Fitch ha tagliato dal 4,5% al 3% la crescita dell’Eurozona. Il centro studi Ref disegna scenari a «forti rischi di ribasso». Borse in frenata, aumenti massicci del costo di materie prime e prodotti industriali, magazzini delle fabbriche che vivono di export trasformati in hangar di parcheggio merci.

E poi i costi del carburante in ascesa. Il freno tirato dal governo si misura solo in centesimi nelle tasche di automobilisti ed autotrasportatori. Le nuove povertà misurate con il Covid (circa 5 milioni in Italia) stanno diventando “più povere” (sia perdonato l’apparente cinismo) con l’aggiunta di un altro milione e 600 mila italiani in forte difficoltà. Le misure di prospettiva vengono di nuovo obbligatoriamente rattrappite in quelle congiunturali per garantire soglie di sopravvivenza. Il nodo è questo.

Il PNRR nel guado.

La pioggia di euro destinata alla risalita post-pandemia dovrà inevitabilmente diversificare i propri obiettivi alla luce della variabile-guerra. Una questione tra le tante è urgente. Il costo dei carburanti e le fonti energetiche. E’ logico presumere che si restringerà quasi a zero lo spazio e i tempi in origine previsti per la transizione ecologica. Dagli investimenti appostati sulla prospettiva andranno giocoforza prelevate risorse per gestire il presente immediato dove il fabbisogno di energia – per effetto della chiusura delle forniture russe – è pressante ed urgente. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, intervistato a Mezz’ora in più da Lucia Annunziata è stato chiaro: il PNRR va rivisto (non da ultimo anche per l’incidenza imprevista della spesa militare). Come si agirà: redistribuzione delle risorse già stanziate (e tagliando cosa?) o aggiunta pesante di altre disponibilità finanziarie? In entrambi i casi i costi complessivi per i bilanci statali e della Ue lieviteranno. Operazioni a debito. Ovvero: con spese da reintegrare. Per garantire ora il funzionamento del sistema produttivo e i bisogni delle famiglie (mobilità e riscaldamento) si riabilita benché a termine il vituperato passato: di nuovo al carbone in attesa della compiuta transizione.

Causa di forza maggiore, certo. Che ancora di più illumina la scelleratezza delle non-scelte del passato quando, proprio sull’energia, si sono consentiti troppi no senza alternativa. E qui il discorso si fa politico. Molto politico.

La politica.

Responsabilità e colpe di quanto in precedenza annotato chiamano non poco in causa soggetti politici che oggi si reinventano leadership autorevoli nello schieramento massimamente unitario anti-Russia.

E’ il caso del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Capo del partito pentastellato che ha costruito il proprio ruolo sui “no” per principio, è uno degli attori della scena di guerra in nome della coesione liberal-democratica. Ma ce li ricordiamo i Cinque stelle animare le barricata contro Tav e Tap e proporre – con molta convinzione – la riconversione dell’Ilva sostituendo gli altiforni con leggiadre colture di cozze? Oggi, oltre agli slogan dell’ovvio coniati dalle cancellerie europee, questa forza politica che parola credibile sa pronunciare sull’ambiente per attenuare il peso di una economia che resta di guerra? Basterebbe come inizio una autocritica seguita da una proposta non “poetica”.

E se vaga nell’incertezza dei posizionamenti la grande area genericamente democratica, un altro campione della politica nostrana compie l’ennesima sua mutazione. E’ Salvini, capopopolo della Lega sempre più in discussione da parte del suo stesso partito.

Aiutato dal silenzio politico-mediatico sugli sbarchi di immigrati (mai arrestatisi) nel periodo Covid che gli ha risparmiato l’onere insostenibile delle sue monotone campagne contro i disperati del mare, Salvini ha subito cercato di occupare la prima fila dei media proponendo l’Italia come Paese aperto ai profughi in fuga dalla Ucraina. Dichiarazioni importanti e spiazzanti. Il super-ego leghista deve essersene accorto e ha tirato le orecchie a Matteo. Che infatti si è immesso nello slalom delle dichiarazioni/precisazioni per distinguere veri da finti profughi perché non tutte uguali – è il suo pensiero – sono le guerre. Alla meno peggio ha ammorbidito l’iniziale fuga in avanti. Ed ha trovato comoda copertura nelle stentoree frasi dell’Ue su piani di accoglienza continentali. Il rumore dei cannoni ha coperto quel più che imbarazzante feeling della Lega versione internazionale che si era sciolta in esaltazioni e costruito panegirici intorno a quello stesso Putin diventato il nemico anche per i leghisti.

Teatrino triste della politica italiana mentre il mondo è di nuovo ad un passo dall’abisso.

Ue-G. Coppola
Speranze, nonostante tutto
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