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Storia di un grande talento destinato a rimanere nel cuore dei tifosi per un passaggio, un lancio, un dribbling, un gol che era andato a riempire, con tattica intelligenza, la rete della squadra avversaria.
Frustalupi, il campione che vinse con Inter e Lazio
Giocò fino a 39 anni, costruendo un percorso ricco anche di itinerari lontani dal grande calcio, dove recitò un ruolo di primo piano, che resta impresso nella mente dei nostalgici sempre in attesa di rivivere quei momenti dove prevaleva la classe innata e preziosa dei grandi calciatori come lui.

di Ernesto Pappalardo

Vinse due campionati di serie A (con l’Inter nel 1970-1971 e con la Lazio nel 1973-1974), fu un grande regista “classico” e, soprattutto, dimostrò che in Italia, proprio in quegli anni, c’era chi impersonava un modello tattico che già programmava i tagli verticali in grado di beatizzare attaccanti del calibro, per esempio, di Giorgio Chinaglia, “Long John”. Mario Frustalupi giocò fino a 39 anni, costruendo un percorso ricco, va detto, anche di passaggi lontani dal grande calcio, che, invece, gli aveva assegnato un ruolo di primo piano – con Inter e Lazio – e che resta impresso nella mente del tifoso nostalgico, sempre in attesa di rivivere quei momenti dove prevaleva la classe innata e preziosa di grandi calciatori destinati a rimanere nel cuore per un passaggio, un lancio, un dribbling, un gol che era andato a riempire, con tattica intelligenza, la rete della squadra avversaria.

“Quando Frustalupi – spiegò bene Mario Corso dopo la vittoria dello scudetto da parte di Frustalupi con la maglia biancazzurra – venne ingaggiato dalla Lazio, io ho sostenuto che quello sarebbe stato, a lungo andare, il più importante colpo del mercato. Adesso credo che siano tutti a darmi ragione. Ma io non sono un indovino, sono uno che il calcio lo conosce abbastanza per poter definire Frustalupi un campione”. E come non capire bene le parole dello stesso Frustalupi che spiegava come fosse felice, “contento di non essere un campione, un bambino prodigio alla Rivera o alla Mazzola. Loro hanno dovuto difendere per anni una reputazione da fuoriclasse. E’ difficile e logorante. Io sono cresciuto piano piano e ho avuto meno stress. Durerò molto più a lungo”.

Era nato a Orvieto, in provincia di Terni nel 1942 (12 settembre), faceva il centrocampista ed aveva esordito in serie A con la maglia della Sampdoria ( il 5 maggio del 1963) nella partita sul campo del Torino: 4 a 2 per i granata. Poi andò ad Empoli e nel 1962 tornò a Genova, alla Samp, fino ad approdare a Milano in maglia nerazzurra (dal 1970 al 1972). A seguire la Lazio (1975 e 1977) con Tommaso Maestrelli. E ancora momenti e gol importanti, ricchi di soddisfazioni fino agli anni ‘80: Cesena e Pistoiese (con Rognoni e Lippi), fino a mettere il suo ultimo pallone dentro la rete (Pistoiese-Avellino, 2-1).

Arriva tra i nerazzurri guidati da Invernizzi, gioca diciotto partite, si confronta con il profilo di Mario Corso, si accomoda spesso in panchina. Ma si capisce bene che è un talento, un grande talento, che troverà spazio e soddisfazione nella Lazio: l’Inter lo cede  nell’estate del 1972 per ottenere Massa. A Roma vennero fuori classe e talento di Frustalupi. In due campionati conquista il cuore dei biancocelesti, aveva superato i trent’anni, ma diventa la mente pensante di una squadra che domina e vince il campionato. Con un metro e sessantasei di statura si impone e detta lezioni di calcio a centrocampo, superando i buoni livelli raggiunti a Milano (dove aveva, comunque, vinto il campionato nel 1971). E’ la dimostrazione che Frustalupi appartiene ai grandi, ai grandi veri, che sanno, quindi, raccontare bene chi sono davvero i calciatori. Al giornalista Franco Melli lo spiega così: “I giocatori di calcio, i cosiddetti eroi della domenica, sono in realtà eterni bambini, bisognosi di sentirsi importanti, indispensabili, scrutati con attenzione e con affetto. Anch’io, a forza di stare nel giro, ho assorbito in parte i principali difetti della categoria. A Milano, in panchina, mi annoiavo. E’ brutto guardare giocare gli altri, i coetanei, i più giovani, i più anziani. E’ triste sentirsi esclusi: il mondo ti crolla addosso nell’istante in cui il tecnico comunica la formazione senza scandire il cognome che vorresti. Non dare retta a chi assicura d’aver sempre atteso con santa pazienza il proprio turno. Le riserve, in qualsiasi organico, si sentono dannati all’inferno, reprobi prigionieri dell’iniquità. Semmai, dal lunedì fino al sabato, io riuscivo a non portare rancore ai miei giudici occasionali dell’Inter. Cercavo altri interessi, invitavo a casa gli amici, mi imponevo di dimenticare il responso della maledetta domenica”.

Giocò fino a 39 anni (circa) in serie A e concluse il suo percorso calcistico a Pistoia. Eppure, in quel poco tempo trascorso all’Inter, avevano pensato che fosse, ormai, vecchio, più o meno, a circa trent’anni.

Morì il 14 aprile del 1990. Era il sabato di Pasqua. Partì da Pistoia, dove faceva il direttore sportivo, era diretto a  Cervinia, in Valle d’Aosta. Era lì la sua famiglia, la moglie e due figli, in attesa di trascorrere insieme qualche giorno di vacanza. La pioggia provocò l’incidente, a Ovada in Piemonte: si ritrovò un’altra macchina davanti, accadde l’incidente in cui perse la vita.

Mario, il campione, l’uomo e il maestro sincero, immerso nel suo mondo, che sapeva giocare bene a pallone.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

 

 

Mario Frustalupi (Pinterest)
Mario Frustalupi, scudetto con Inter e Lazio
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