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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Storie intrecciate con l’artigianalità dell’impegno in sintonia con il miglioramento legato alla progressiva acquisizione di tecnica (e esperienza).
Eroe in difesa, alla conquista del mondo (negli anni Settanta)
L’esempio del nerazzurro Mario Giubertoni, che insieme con Burgnich e Facchetti illuminò il calcio italiano alla vigilia della magica “rivoluzione” olandese.

Uno stopper che si distinse fin dall’inizio, guidando il Palermo in serie B, fino a farlo giungere qualche anno dopo in serie A. Poi, indossò la maglia nerazzurra e vinse subito lo scudetto (1970-71), perdendo l’anno dopo, in finale, la Coppa dei Campioni contro l’Ajax. Mario Giubertoni (nato a Moglia, in provincia di Mantova, 8 dicembre 1945) rappresenta nell’immaginario del tifoso nerazzurro – sopravvissuto alle narrazioni non ancora multimedializzate degli anni 70’ (e 80’ e anche in parte 90’) – quella parte di Inter sempre attaccata alla punta avversaria, in questo caso per tutto il periodo di permanenza a Milano (1970-1976). Già nella prima stagione (1970-1971), dopo il periodo a Palermo, riesce a conquistare la maglia di titolare (27 presenze) e approda allo scudetto. Non mancano, però, passaggi meno vincenti. Nella finale di Coppa dei Campioni (con l’Ajax, come detto), con la maglia di titolare, gioca solo una decina di minuti, poi si infortuna e lascia il campo.

Ma è nella carriera di questo straordinario calciatore, pieno di storia nerazzurra, che si rintracciano spunti e episodi che aiutano a ritrovare non solo e non tanto lo spirito del tempo, ma anche (e soprattutto) la vocazione più autentica del difensore, che costruisce, partita dopo partita, la caratteristica principale di un tipo di squadra che appare, chiaramente, orientata prima di tutto a non prenderle. Ma, non per questo, a non attaccare, sebbene facendo leva su una difesa articolata, appunto, su Burgnich, Facchetti e lo stesso Giubertoni.

In quell’estate del 70’ arriva a Milano con il compagno di squadra Sergio Pellizzaro e si impone subito come titolare: lo scudetto che arriva a fine stagione è anche, meritatamente, suo. L’avventura nerazzurra dura per quattro stagioni. Diventa uno dei pilastri della difesa insieme con Tarcisio Burgnich e con Giacinto Facchetti. Nel 1976 va via e arriva a Verona, dove gioca solo sette gare di campionato: la sua carriera termina – a 32 anni ancora da compiere – alla fine di quella stagione. Pur avendo alle spalle una bella e solida carriera nell’Inter, non entra in nazionale.

A rileggere il percorso precedente all’Inter di Giubertoni, si percepisce l’angolatura giusta di un certo tipo di calcio, non più ravvisabile in questo ultimo scorcio di anni, sempre ben attento a seguire storie e percorsi intrecciati con l’artigianalità dell’impegno di atleti e appassionati, sempre uguali a se stessi, ma in sintonia con il miglioramento progressivo, legato alla maggiore acquisizione di tecnica e esperienza, inseriti pienamente in un modulo tattico che propone con intelligenza l’applicazione di schemi e sintonie tra tutti i titolari in campo.

Nel 64-65’, il Palermo acquistò Giubertoni dal Moglia, la squadra del paese dove era nato e dove tornò a coltivare pere alla fine della carriera. E fu nel Palermo che arrivò alla promozione in serie A (67’-68’), giocando 40 partite e mettendo a segno la prima rete (2-0 al Perugia). E non si mosse dal Palermo nemmeno  negli altri due campionati di serie A, sebbene l’ultimo portò alla retrocessione. Con i rosanero, quindi, disputò 209 partite (2 gol messi a segno), per, poi, traslocare all’Inter, dove divenne subito titolare.

Di Giubertoni resta la cavalcata straordinaria in quell’Inter che si affacciava – e vinceva – nel primo calcio anni 70’, così ricco di epica e di narrativa agonistica, prima di assistere al maturare (e al dominare) di fenomeni epocali, come, per esempio, il calcio olandese che avrebbe impresso al mondo un’altra marcia.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

Mario Giubertoni FC Inter jpg Wikipedia
Mario Giubertoni
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