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I numeri dell'economia »

L’analisi. I cittadini hanno assistito ad un evidente deficit di capacità di governo.
Dall’astensionismo al Mattarella bis, la debacle dei partiti
Senza una formale riforma, la politica italiana si muoverà nella prassi del “semi-presidenzialismo di fatto”, che, come accaduto sino ad oggi, potrà continuare a garantire quella stabilità necessaria in relazione a questioni rilevanti per la ripresa del Paese come il Pnrr.

di Mariano Ragusa

Piuttosto che attardarsi sulla conta dei vincitori e dei vinti, sarebbe opportuno ed urgente concentrare l’attenzione del dibattito pubblico sulla crisi del sistema dei partiti emersa nella vicenda del Quirinale che ha portato al bis di Sergio Mattarella. L’evidenza di questa crisi è nelle contorsioni, negli strappi, del tutti contro tutti e nelle tentate spallate prodotte da vari attori politici nel quadro segnato – a livello parlamentare – dalla assenza di coalizioni autosufficienti. Ma anche incapaci di produrre sfondamenti (l’una nell’altra) non con i tatticismi bensì con la capacità di disegnare strategie e visioni all’altezza dell’interesse generale del Paese.

L’onore dei peones.

L’elezione di Mattarella (che in questa fase a quell’interesse generale risponde) si è prodotta per mano di parlamentari che via via si sono allontanati dalle indicazioni o, per meglio dire, non-indicazioni o ancora labili ed incerte indicazioni, prodotte dai leader politici. Un rigurgito della democrazia parlamentare contro i giochi di potere delle dirigenze di partito? Non si può escludere che di questo, ma solo in parte, si sia trattato. A questa lettura è stata però affiancata – da parte di diversi osservatori della politica – un’altra meno nobile e più tarata su valutazioni di convenienza. Ovvero: un Mattarella bis avrebbe certamente introdotto quell’elemento di stabilità in grado di sventare il rischio di elezioni anticipate, eventualità assai temuta da deputati e senatori in dirittura d’arrivo per la pensione e molti privi di certezze circa eventuali ricandidature. Le due letture, in fondo, non si smentiscono a vicenda. E mettono in evidenza il dato ineludibile di una spaccatura tra le leadership di partito e le rispettive basi parlamentari. I cittadini hanno così assistito ad un evidente deficit di capacità di governo.

Il deficit di leadership.

E’ proprio questo aspetto che mette in luce in tutta la sua gravità la crisi dei partiti. L’attuale Parlamento è frutto di una legge elettorale e di logiche di partito, che intorno ad essa hanno preso corpo, basate sulla selezione per nomina degli eletti. I partiti del capo (tutti più o meno lo sono diventati) hanno centralizzato i meccanismi di governo interno dei partiti esaltando il potere del leader e trasformando la selezione dei gruppi dirigenti (e delle rappresentanze parlamentari) non più come lotta democratica interna e conflitto regolato tra opzioni programmatiche, bensì come fidelizzazione al capo. Il meccanismo evidentemente non regge più. O almeno, in occasione della elezione bis di Mattarella, ha evidenziato di non reggere più. E, si badi, non è stato un lampo a ciel sereno. Dalle ultime elezioni è partito un processo di “transumanza” con trecento cambi di casacca da parte di deputati e senatori.

Cosa racconta questo fenomeno? Che il partito del capo è stato interpretato, da parte di larghe fette dei rappresentanti parlamentari, come taxi da prendere in varie direzioni con il solo obiettivo della convenienza personale. Per dirla in termini più tranchant, il potere concentrato al vertice non ha tenuto lungo tutta la filiera del partito.

I partiti (con variegate sfumature) si sono ormai caratterizzati come mera aggregazione di correnti (o meglio, gruppi di potere), comitati elettorali e comunità mediatiche. La crisi interna, resa evidente dal Mattarella bis, si specchia in quella esterna. Le ultime elezioni amministrative hanno fotografato il peso dell’astensionismo: un italiano su due ha rinunciato al voto. Più che un segnale di disaffezione è un messaggio di rifiuto della politica. Con mezzo elettorato che sceglie l’inattività si può ancora riconoscere ai partiti il ruolo di mediazione tra società e istituzioni? La credibilità e l’efficacia di strumento di promozione della partecipazione e raccolta del consenso dei cittadini? Il tema è aperto. Da affrontare come?

I vagiti riformatori.

Nelle ore immediatamente successive all’elezioni di Mattarella, i partiti (oltre a regolare i conti al loro interno) hanno iniziato a parlare di riforma della legge elettorale in cerca di un sistema che garantisca coesioni e limiti a frammentazioni e micro-partitini ma soprattutto che offra spazio di rappresentanza a forze ed aggregazioni che hanno vissuto come una camicia di forza il (cattivo) maggioritario dell’attuale sistema elettorale.

La geografia politica disegnata dalla vicenda Quirinale ha ridato forza al disegno di una grande aggregazione centrista (da Forza Italia ad Italia Viva, oltre a più piccole ma influenti formazioni) che il proporzionale potrebbe rendere effettivo. Con effetti tutti da misurare sull’attuale configurazione delle coalizioni. La legge elettorale non potrà tuttavia essere il toccasana dei mali che affliggono i partiti.

In discussione non è l’algebra politica ma il ruolo, forse persino il senso dei partiti stessi come infrastruttura della democrazia. Non è tempo di fusioni a freddo e matrimoni di convenienza. E’ tempo di riflettere e trovare risposte alla crisi della democrazia che possono scaturire da analisi non contingenti ma ancorate a visioni culturali in grado di leggere il presente ed orientarlo. Ci sarà il tempo giusto per affrontare questo impegno? O il calcolo pre-elettorale (nel 2023 si voterà per rinnovare il Parlamento per di più dimezzato nei numeri) metterà la sordina a urgenze di analisi e coerenza di una legge elettorale davvero utile?

L’àncora del “semipresidenzialismo di fatto”.

Nutrire dubbi è lecito. Troppa retorica riformista è inutilmente scivolata nella discussione pubblica non andando oltre qualche titolo di giornale. Da ultimo quella sorta di mantra che con l’avvento del governo-Draghi abbiamo sentito annunciare da prestigiosi ed ascoltati editorialisti e opinion maker: Draghi spingerà i partiti a riformare sé stessi. Non era vero e non lo sarebbe potuto essere. Il Mattarella bis sta lì a confermarlo. Il compito è però urgente ed andrà subito ripreso. Il contesto non sarà agevole. Ciascun partito è auspicabile si sieda con voce unica al tavolo delle riforme. Al momento prevale la dodecafonia. Uno scatto di responsabilità sarebbe più che necessario.

Nel frattempo il sistema politico beneficerà di un altro anno sotto l’imprinting dell’asse istituzionale Draghi-Mattarella. Senza formale riforma, la politica italiana si muoverà nella prassi del “semi-presidenzialismo di fatto” che come accaduto sino ad oggi potrà continuare a garantire quella stabilità necessaria in relazione a questioni rilevanti per la ripresa del Paese come il Pnrr.

 

Foto-Quirinale 2-Sergio Mattarellla
Il presidente Sergio Mattarella
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