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I cambiamenti in atto nel mercato occupazionale richiedono grande flessibilità nella ricerca di strumenti adeguati ai momenti di crisi.
Contratti di solidarietà? Sottovalutati
Mastropietro (Apaie Salerno): “Rispondono all’esigenza dell’impresa non solo di ripristinare un equilibrio finanziario e reddituale, ma anche di non perdere il know how aziendale, evitando dunque i costi e le difficoltà logistiche legate alla necessità di selezionare e formare il nuovo personale”.

In un periodo storico come quello attuale, caratterizzato da una perdurante instabilità del quadro economico, possono assumere particolare rilievo gli ammortizzatori sociali volti a garantire la flessibilità della prestazione lavorativa. In particolare la legge 863/84, istitutiva dei cd. Contratti di solidarietà, permette di affrontare situazioni di crisi aziendali temporanee attraverso la riduzione degli orari di lavoro dei lavoratori dipendenti, con il contestuale versamento a questi ultimi di un contributo (pari a circa il 60% della retribuzione persa) come misura di sostegno del reddito.
Attraverso il principio del “lavorare meno, lavorare tutti”, dunque, si cerca di salvaguardare le diverse professionalità presenti in azienda, evitando traumatiche chiusure o problematiche dislocazioni.
E’ quindi evidente la duplice valenza dell’istituto in esame che, da una parte, è strumento di tutela sociale ed economica per il lavoratore, dall’altra risponde “all’esigenza dell’impresa non solo di ripristinare un equilibrio finanziario e reddituale – dichiara l’avv. Enrico Mastropietro di Apaie Salerno – ma anche di non perdere il know how aziendale, evitando dunque i costi e le difficoltà logistiche legate alla necessità, una volta terminato il periodo critico, di selezionare e formare il nuovo personale”.
La norma distingue due diverse forme di intervento a seconda che sia prevalente la necessità di evitare il licenziamento dei dipendenti quando l’impresa entra in crisi (contratti di solidarietà “difensivi”) oppure quella di incentivare nuove assunzioni mediante la riduzione dell’orario di lavoro e della retribuzione (contratti di solidarietà “espansivi”). Risulta, però, rilevante il ricorso al modello “difensivo”, pressoché nullo quello al modello “offensivo”.
Si nota, quindi, un successo della solidarietà interna tra i lavoratori occupati, ed (ovviamente!) una defaillance completa della solidarietà esterna tra lavoratori occupati e non. Da un punto di vista procedurale, è previsto una iter di approvazione che inizia con una domanda telematica al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
I contratti di solidarietà sono destinabili a tutti i dipendenti ad eccezione di dirigenti, lavoratori a domicilio, apprendisti, lavoratori assunti da meno di 90 giorni, lavoratori assunti a tempo determinato per attività stagionali. I lavoratori part-time sono ammessi solo nel caso in cui l’azienda dimostri “il carattere strutturale del part-time nella preesistente organizzazione del lavoro”.
La riforma del lavoro del Jobs Act ha fissato in 24 mesi prorogabili fino a 36 mesi la durata massima del contratto di solidarietà ed ha fissato al 60 per cento il limite massimo di riduzione media dell’orario giornaliero.
Esempio di contratto di solidarietà “difensivo” è stato quello che ha visto come attori la società Ericsson Telecomunicazioni Spa che ha riguardato ben 1456 dipendenti ed ha salvaguardato l’occupazione di 143 lavoratori in esubero, o quello più celebre di Telecom Spa, che ha coinvolto ben 32 mila dipendenti.
I contratti di solidarietà stanno avendo un grande successo (che porta con sé problematiche di copertura all’esame del Governo proprio in queste settimane) anche perché non coinvolgono solo le grandi aziende ma possono riguardare anche le Pmi: in alcuni casi infatti hanno ad esempio visto come protagonisti anche i dipendenti di piccoli studi professionali.
Le aziende interessate possono inviare una mail su infoapaie@gmail.com per ricevere maggiori informazioni al riguardo.
@LucaIovine6

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Da 24 a 36 mesi la durata massima del contratto di solidarietà
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