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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Ma siamo proprio sicuri che senza informazione, senza racconti, senza realtà “riproposta” e “servita” dinanzi a noi, non possiamo sopravvivere?
Assediati e vinti dall’assalto delle “notizie”
La continua “riformulazione” mediatica dello stato delle cose finisce prima di tutto per cucire addosso a una larghissima parte di noi il “vestito” che abitualmente sfoggiamo senza averne alcuna consapevolezza.

La sequenza degli eventi più recenti, ma anche quella riferita a fatti più relativamente lontani, continua a presentarsi sempre, in qualche modo, agganciata ad un ventaglio di emergenze che, di volta in volta, si presentano, in ogni caso, connesse ad un aggettivo che ne richiama la gravità. In altre parole, la narrazione di tutto quello che accade si è ormai liberata, quasi del tutto, di un contesto di normalità. Il racconto della quotidianità è principalmente collegato, quindi, alla straordinarietà di quanto si ritiene particolarmente importante – cioè  in grado di produrre effetti che determinano conseguenze rilevanti per il circuito informativo (o anche narrativo), che deve censire e proporre alla valutazione (o svalutazione) generale –  e, quindi, va “inquadrato”, o meglio: prima di tutto giudicato e, poi, proposto. Siamo chiusi in questo meccanismo, ormai, da tempo immemore, ma particolarmente più intenso e continuamente al rialzo da qualche anno a questa parte. La mediaticità delle notizie definite di cronaca o anche di stretta attualità – in grado di riflettersi fino a generare un enorme macchia d’olio senza più alcun tipo di confine – è particolarmente acuta, fino a sminuire altre tipologie di eventi che, pure, accadono e avrebbero bisogno di essere raccontate, spiegate, relazionate agli altri, che ascoltano, vedono e, forse (ma in misura minore), leggono.

La guerra, i fatti che ricadono in azioni che violano la legge, aggrediscono in maniera sempre più ampia e sviluppata altre persone, gli “eventi” diventano oggetto di veri e propri “attacchi” al profilo economico delle famiglie, oppure ogni descrizione dei rischi sanitari, sono, in fondo, i veri protagonisti del mondo che travalica le forme di normalità della vita di uomini e donne in questi anni così particolari.

Questa continua “riformulazione” dello stato delle cose – oltre ad alimentare diverse strategie per mettere in campo varie tipologie di “assalti politici”, economici, militari e molto altro – in fondo finisce prima di tutto per cucire addosso a una larghissima parte di noi il vestito che abitualmente sfoggiamo senza, ovviamente, nella maggior parte dei casi, averne alcuna consapevolezza (dello sfoggio, non di altro). Siamo, cioè, ben immersi in un meccanismo totalmente auto-rinnovabile che si protrae da un giorno all’altro, inseguendo le notizie (anche nella loro più totale autenticità e distanza dalla provocazione dell’evento) o, al contrario, venendo inseguiti dalle notizie. Ma con un solo risultato che può prendere di sicuro il sopravvento, fino a determinare sempre lo stesso scenario dell’utente (sì, in fondo, siamo primariamente utenti) che appare (e si auto-rappresenta) come sorpreso e indeciso, ma pronto a compiere le sue scelte. Anzi, a determinare quello che è possibile definire “andamento” della notizia (e che si traduce in ascolti censiti, studiati, corteggiati, venduti, comprati e altro ancora). Sempre in nome di un valore, un obiettivo, un traguardo o chissà cosa altro.

Resta un solo dubbio, o forse, nemmeno un dubbio. Un interrogativo: ma siamo proprio sicuri che senza informazione, senza racconti, senza “realtà” riproposta e “servita” dinanzi a noi, non possiamo sopravvivere?

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

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