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La filiera dell’agroalimentare si conferma tra gli asset produttivi più importanti per la crescita dell’economia. Aumenta anche la percezione diffusa a livello generale della rilevanza strategica sia delle imprese agricole che di quelle agroalimentari. La conferma arriva dalla ricerca “Un futuro per l’Italia: perché ripartire dall’agricoltura” realizzata dal Censis su incarico della Cia(Confederazione Italiana Agricoltori), che è stata presentata nei giorni scorsi a Roma.
Più agricoltura nel futuro dell’Italia.
“Gli anni più recenti – è scritto in una nota del Censis – sono stati caratterizzati da un diffuso e inaspettato ritorno di attenzione per il mondo agricolo. Per l’82% degli italiani oggi il settore rappresenta un asset strategico del Paese per tornare a crescere: il 51% lo considera una fonte di ricchezza e di occupazione, il 31% ritiene che possa essere il nostro valore aggiunto in termini di competitività”. Ma anche nella quotidianità il ritorno ad un contatto con la terra è uno dei comportamenti in forte crescita. “Fare l’orto e dedicarsi al giardinaggio non sono più attività per pochi affezionati, magari anziani. Un italiano su due coltiva un orto (e tra i giovani la percentuale non si riduce: 51%) e ancora di più sono quelli con la passione per il giardinaggio (70%)”.
Giovani e start up guidano il rinnovamento.
Anche nei difficili anni della crisi – spiega il Censis – “l’agricoltura ha continuato a rappresentare un importante attrattore di iniziative imprenditoriali”. “Dal 2010 a oggi sono nate 117mila nuove aziende, di cui 106mila in ambito agricolo e 11mila nell’agroalimentare. I due settori hanno rappresentato l’ambito di attività prescelto dal 10,1% degli imprenditori che hanno avviato un’impresa negli ultimi tre anni”. E i giovani non hanno mancato di dare il loro contributo. “Sono stati 17mila gli under 30 che hanno avviato un’impresa agricola a partire dal 2010: su 100 start up, 15 sono state create da giovanissimi. Nell’agroalimentare il loro contributo sale al 18,3%. Così, se tra gli imprenditori agricoli con più di 40 anni il 43,5% ha al massimo la licenza elementare e il 31,2% la licenza media, tra i giovani il livello di istruzione aumenta significativamente. Tra gli imprenditori agricoli 25-40enni il 45,3% è in possesso di un diploma di scuola superiore e l’11,2% ha una laurea, tra quelli con meno di 25 anni il 65,3% è diplomato e il 5,2% è laureato”.
Successo dell’agricoltura anche nei percorsi formativi.
Tra il 2009 e il 2013 “mentre è diminuito del 13,8% il numero complessivo degli immatricolati nelle università italiane, sono aumentati gli iscritti alle facoltà collegate al mondo agricolo: +43,1% per scienze zootecniche e tecnologie delle produzioni animali, +22,9% per scienze e tecnologie alimentari, +18,6% per scienze e tecnologie agrarie e forestali”.
Il nuovo corso dell’agricoltura al femminile.
Il settore agricolo “è un terreno fertile per l’universo femminile.” “Il 9% delle imprenditrici opera in questo comparto, a fronte di una percentuale che tra gli uomini si ferma al 6,6%. Le donne rappresentano il 31,2% del totale degli imprenditori del settore. E la produzione media dell’impresa agricola condotta da una donna risulta superiore a quella facente capo a un uomo: in media 28.500 euro contro 24.800 euro”.
La cultura bio che fa crescere l’azienda.
Da movimento di nicchia “il biologico è diventato un vero e proprio fenomeno di mercato. Tra il 2011 e il 2012 la crescita più forte del commercio di prodotti bio si è registrata, con una certa sorpresa, nei discount (+25,5%), poi nei supermercati (+5,5%)”. Nel 2013 “il bio ha registrato una dinamica dei prezzi inferiore (+0,3%) rispetto ai prodotti convenzionali (+4,4%)”. Tra le aziende bio “solo il 15,4% ha un fatturato annuo inferiore agli 8mila euro (contro il 62,8% del totale delle aziende agricole), mentre il 19,2% (rispetto al 5,5% del totale) vanta un volume economico superiore ai 100mila euro. Più aperte al rapporto diretto con il mercato, ma anche più in rete: a fronte di una media dell’1,8% delle aziende che ha un proprio sito web, tra quelle bio la percentuale sale al 10,7%”.
Convenienza e flessibilità trainano i piccoli negozi etnici.
Se il supermercato resta di gran lunga il luogo prediletto dalle famiglie italiane per fare la spesa alimentare (per il 52%), “il 9% si rivolge ai mercati rionali o ai piccoli negozi, mentre il 39% divide la spesa equamente tra supermercati e mercati rionali”. In crescita gli acquisti “presso botteghe e negozi gestiti da stranieri: il 23% degli italiani vi acquista generi alimentari, frutta e verdura”. Per il 62% i prezzi “sono più convenienti, per il 34% conta la particolarità dei prodotti offerti, per il 22% gli orari più flessibili rispetto ai negozi tradizionali”.
E l’export vola.
Conferme anche sul versante dell’internazionalizzazione delle imprese. “Non si ferma l’export agricolo e agroalimentare, che anche nel 2013 ha continuato a crescere (+4,8%), a fronte di un sostanziale stallo del valore delle esportazioni italiane complessive (-0,1%). Nel 2013 i prodotti agroalimentari hanno pesato per circa 33,5 miliardi di euro sulla bilancia commerciale”.
Un settore in lenta e profonda ristrutturazione.
Da qualche anno il comparto agricolo “sta vivendo un radicale processo di ristrutturazione interna all’insegna del consolidamento strutturale. Tra il 2000 e il 2010 la dimensione media delle imprese agricole è cresciuta da 5,5 a 7,9 ettari. In termini occupazionali, tra il 2010 e il 2012 è aumentato il numero delle imprese più grandi: +18,4% quelle con 10-19 addetti, +37% quelle con 20-49 addetti, +60,9% quelle con più di 50 addetti”.
Tante potenzialità, molti limiti.
Con un valore aggiunto “superiore a 30 miliardi di euro”, l’Italia è la seconda economia agricola europea, dopo la Francia “con un peso sul valore totale dell’Unione Europea pari al 15,2%”. Ma l’Italia – sottolinea il Censis – “si colloca solo al sesto posto tra i Paesi europei per volumi delle esportazioni, preceduta da Paesi Bassi (63 miliardi), Germania (61), Francia (55), Spagna (33) e Belgio (31). Sono numeri che dimostrano come il nostro sistema agricolo non riesca ancora a organizzarsi al meglio per sfruttare il suo grande potenziale di crescita”.
(Fonte: censis.it/16.05.2014)