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Gli impatti ambientali sono destinati a peggiorare notevolmente entro il 2050.
Cibo, ancora troppi inutili sprechi
Nonostante sia in atto già da qualche anno una vera e propria rivoluzione degli stili di alimentazione, ancora non si percepisce pienamente la reale dimensione dell’emergenza-fame nel mondo.

di Giuliano D’Antonio*

Uno dei problemi sui quali si focalizza a corrente alternata l’attenzione generale – ed in primo luogo del sistema mediatico – è quello relativo allo spreco di cibo che è strettamente connesso all’approccio delle singole persone alla propria dieta alimentare (con particolare riferimento all’esigenza di introdurre meno proteine, meno carne e più vegetali). Nonostante sia in atto già da qualche anno una vera e propria rivoluzione degli stili di vita con una crescente sensibilità alla tutela salutistica, per molti versi risulta ancora predominante una mentalità derivante dalla mancata conoscenza delle dimensioni e della complessità dell’emergenza-fame nel mondo.

Lo spreco e la perdita di cibo riguarda quasi un terzo della produzione. Ad approfondire la recente analisi di Joao Campari – leader mondiale Food program del WWF – si comprende con chiarezza in quale situazione siamo venuti a trovarci. “Il sistema agro-alimentare – ha spiegato – è malato. Dovrebbe essere in grado di proteggere la biodiversità fornendo al contempo cibo sufficiente a tutte le generazioni presenti e future. Al momento, invece, è la più grande minaccia per la natura, per il clima, nonostante miliardi di persone siano ancora malnutrite. Senza un’azione concertata, gli impatti ambientali sono destinati a peggiorare notevolmente entro il 2050”.

Eppure, le “ricette” per fare fronte a questa gravissima emergenza non mancano. A cominciare dai cosiddetti tre “pilastri” individuati dal Wwf: produzione sostenibile, dieta sostenibile e azioni incisive a tutti i livelli per combattere lo spreco e la perdita di cibo.

E’ possibile parlare di una dieta “salva pianeta”? Certamente sì, puntando su alimenti vegetali, quantità modeste di carne, pesce e derivati animali. Il problema riguarda principalmente i Paesi del Nord del mondo a maggiore consumo che dovrebbero ridurre di almeno il 50% (con picchi fino al 90%) il consumo di carne nelle diete e raddoppiare il consumo di frutta, verdura, cereali, legumi e frutta secca. Il Wwf ritiene che “la dieta migliore sia diversificata, utilizzando cibi prodotti in modo sostenibile e consumati prevalentemente a livello locale e stagionale”.

Insomma, per il Wwf i modelli dietetici attuali “non sono sostenibili, né in termini di salute per il pianeta, né per le persone”. Scegliendo la strada della riduzione della carne ed dell’aumento delle componenti vegetali, si contribuirebbe, invece, in maniera concreta al perseguimento dei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (SDGs) .

E’ chiaro che il punto dolente si configura nella mancata attivazione – coordinata a livello internazionale – di efficaci e persistenti campagne di informazione e comunicazione mirate alla formazione di consumatori di cibo maggiormente consapevoli delle conseguenze sulla propria salute e sul contesto ambientale nel quale si trascorre la propria vita di una dieta squilibrata e priva di attenzione alle filiere produttive che sfociano sugli scaffali della piccola e grande distribuzione.

Naturalmente, sono in gioco interessi planetari in grado di mobilitare condizionamenti a tutti i livelli. Ma è assolutamente indispensabile rafforzare ogni percorso utile a fare aumentare la consapevolezza delle popolazioni, in tutte le aree del pianeta, di dovere ridisegnare la catena di produzione del cibo e dei consumi con il duplice obiettivo di migliorare la salute delle persone e, nello stesso tempo, assicurare maggiore sostenibilità al contesto ambientale globale.

*Presidente Fonmed (Fondazione Sud per la Cooperazione e lo Sviluppo del Mediterraneo)

(Fonte: wwf.it/ 17.01.2019)

Foto D’Antonio Giuliano
Giuliano D'Antonio
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