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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Vocazione mediterranea

E’ una banalità affermare che l’unica infrastruttura efficiente e realmente operativa che collega Salerno al resto del mondo sia il porto. Quel porto che ha spesso e volentieri suscitato dibattiti, polemiche, scontri abbastanza superficialmente strumentali, fin da quando se ne decise l’ampliamento mantenendolo nella sua attuale ubicazione. Di anno in anno il porto, però, riesce a stringere i denti, a combattere duramente la crisi e, alla fine, a crescere, guardando al futuro. Il porto, cioè, si conferma volano di sviluppo e – anzi – contribuisce in maniera determinante a delineare l’identità di Salerno e della sua intera provincia anche dal punto di vista di modelli economici e produttivi molto innovativi. Il presidente dell’Autorità Portuale Andrea Annunziata nell’intervista apparsa ieri su “la Città” è stato molto chiaro: sono stati attivati – senza non pochi sforzi – investimenti nel porto e per il porto pari ad oltre 300 milioni di euro. Una bella cifra di questi tempi, senza dubbio. Ma quale contributo il porto può conferire in termini di valore aggiunto alla città dal punto di vista della sua collocazione sul “mercato” della competitività tra territori e dei capitali che inseguono business convenienti e senza eccessivi rischi? Perché la vera sfida resta sempre quella di fare di Salerno una “piattaforma” capace di essere attrattiva e in grado di innescare spirali virtuose di crescita, lavorando in maniera lungimirante sulla propria identità nel medio periodo. Per tanto tempo si è parlato – non poche volte a sproposito – di Salerno come piattaforma logistica al servizio del Mediterraneo, dimenticando che la logistica è sostanzialmente intermodalità: a Salerno mancano – al momento e chissà per quanto altro tempo ancora – due anelli fondanti della catena come il ferro e l’aria (per non parlare del caos in cui versa il trasporto su gomma che avrebbe bisogno di interventi importanti di razionalizzazione infrastrutturale e di ottimizzazione gestionale). Eppure, la “vocazione mediterranea” proprio grazie al porto – e alla nuova identità che nel giro di pochi anni esso acquisirà – è probabilmente l’unica traccia possibile per mettere in piedi un ragionamento non velleitario sul modello di crescita sostenibile che Salerno e provincia potrebbero (dovrebbero) adottare fin da subito. La chiave di volta è quella che guarda alla ricerca intelligente di un equilibrio sostanziale tra traffici mercantili e crocieristici in un’ottica di piena integrazione con l’attuazione concreta del disegno di Salerno città turistica che dovrà mettere a frutto la presenza sul proprio litorale di quattro scali da diporto diversificati per target e capacità di accoglienza dimensionale delle imbarcazioni. Se da un lato, cioè, il dragaggio dei fondali ed il rafforzamento delle banchine – oltre ad altri interventi di ristrutturazione dei moli dedicati alle merci – conferma fortemente la presenza a pieno titolo nel circuito internazionale dominato dal gigantismo navale; dall’altro il raddoppio del molo Manfredi e la nascita di un polo crocieristico attrezzato ed arricchito dal gioiello della stazione marittima, assicurano oggettivamente l’opportunità di posizionarsi come uno dei caselli d’ingresso più rilevanti rispetto alle rotte turistiche del Mediterraneo. E’ in questo senso che questa tante volte richiamata vocazione assume un valore economico e produttivo e non soltanto “folcloristico”. Ed è di estremo interesse l’opzione messa in campo per la costruzione di un network di aree retro-portuali dove allocare lavorazioni di ultimo miglio: è così che si realizzano le filiere logistiche che interagiscono con i poli produttivi locali. E’ così che si sbarcano materie prime e si imbarcano prodotti finiti con tutto il ricarico di valore aggiunto che resta sul territorio. Insomma, come diceva qualche antico commentatore di cose calcistiche si sta facendo molto buon gioco a centrocampo. Ora, però, bisogna concretizzare in attacco e buttare la palla in rete. Anche in questo caso la partita si vince o si perde nel giro – al massimo – di un paio di anni. Dopo questo orizzonte, tutto diventerà molto più complicato. Ma, intanto, bisogna crederci. Magari, per una volta, senza autolesionistiche divisioni ed anacronistiche frammentazioni. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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