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Visti da vicino di Giulio Ragusa/Hacker, sospetti e bestseller: il prezzo dell’arte.

Nel thriller claustrofobico a sfondo gotico di Règis Roinsard una indagine sulle dinamiche del mercato che condizionano la creatività artistica. Film di genere con alta fattura tecnica che coinvolge lo spettatore.

Nove traduttori vengono ingaggiati dal responsabile editoriale Eric Angstrom per redigere simultaneamente nelle loro lingue l’ultimo volume della trilogia “Dedalus” dell’autore Oscar Brach (di cui non si conosce l’identità) che si annuncia essere un best sellers mondiale. I traduttori dovranno operare all’interno di un bunker, isolati dal mondo esterno. Quando un misterioso hacker minaccia pubblicare in anteprima le pagine del manoscritto inizia una caccia al colpevole che porterà tutti a sentirsi coinvolti in un intrigo pericoloso e senza esclusione di colpi.

Scrittore e traduttore: rapporto ambiguo.

Ne “Il prezzo dell’arte” (titolo originale “Les Traducteurs”) il regista francese Régis Roinsard indaga sul complesso rapporto tra scrittore e traduttore inserendolo nelle logiche capitalistiche del profitto e aprendo ad una profonda e più ampia riflessione sul ruolo svolto dall’arte nella società contemporanea. Citando Agatha Christie e il genere classico del mistero a più protagonisti dell’“Assassinio sull’Orient Express” o dei “Dieci Piccoli Indiani” Roinsard costruisce un thriller a sfondo gotico, nei colori e nelle musiche, che alza il livello della tensione proprio nel contrasto tra l’ambientazione claustrofobica del bunker e il dinamismo relazionale dato alla storia dal cast corale che annovera, tra i vari protagonisti, Lambert Wilson, Alex Lawther, Olga Kurylenko e Riccardo Scamarcio.

Alta tensione e colpi di scena.

Il ricorso massiccio a flashback e flashforward conferisce tecnicismo al racconto creando un gioco di sovrapposizioni spaziotemporali che tengono alta l’attenzione e permettono di valorizzare i tanti colpi di scena che accompagnano lo spettatore verso lo svelamento finale della verità. La sensazione che resta è quella di un film di genere di alta fattura che si interroga sulla reale possibilità di ridurre ad una quantificazione economica il potere delle parole, da sempre votato al valore inestimabile dell’universalità.


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