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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

La diffusione dei “social” e l’omologazione dell’offerta info/comunicativa assumono un ruolo sempre più centrale.
Tra “fabbriche” delle notizie, redazioni e partite quasi perse
Dove finisce l’opera di un buon professionista e dove inizia il “lavoro” che “modella” il “palinsesto” dei “materiali” in base ai quali si influenza l’orientamento all’acquisto o al voto?

Il rapporto tra cittadini/consumatori ed il flusso di notizie che riguarda tutto quello che acquisteranno o, meglio ancora, la relazione tra i loro comportamenti/stili di vita ed il “racconto” che li induce ad elaborare un proprio personale approccio ai consumi (di qualsiasi genere: non solo food, per intenderci) sono senza dubbio tra i temi più rilevanti nell’ambito dei processi di info/comunicazione. E solo apparentemente possono essere “confinati” in ambiti connessi alle tecniche di vendita o alla captazione (consapevole o inconsapevole) del consenso dell’acquirente/elettore. Il problema è molto più ampio e complesso e si estende fino alla “costruzione” di percorsi finalizzati alla fidelizzazione del consenso. In altre parole: dalla pasta alla carne; dalla frutta agli ortaggi; dalle scarpe al vestito per arrivare all’offerta di un “prodotto politico” verso il quale incanalare il voto.

In questo contesto la diffusione dei “social” e l’omologazione dell’offerta info/comunicativa hanno avuto certamente un ruolo centrale. Ma è indispensabile confrontarsi anche con il tragitto delle notizie/non notizie, informazioni/comunicazioni anche dalla prospettiva del polo trasmittente. In altre parole: come nasce una delle tante “fabbriche delle notizie” o una delle tanti “centrali di info/comunicazione”? E quali “cancelli”, quali “ingressi”, quali “autostrade digitali” vengono “conquistati” senza – nella quasi totalità dei casi – alcun tipo di problema o contrasto? Dove finisce l’opera di un buon professionista del marketing o dell’info/comunicazione e dove inizia il “lavoro” che spesso valica il confine della privacy (ma questo è un aspetto divenuto purtroppo strutturale del problema) fino a “modellare” il “palinsesto” dei “materiali” in base ai quali si influenza l’orientamento all’acquisto o al voto?

Naturalmente, non è affatto semplice  individuare meccanismi e tecniche a dir poco raffinati, ma si può tentare, almeno, di stabilire alcuni punti fermi dal punto di vista di quanti sono chiamati a lavorare con l’informazione, con le notizie, con le analisi economiche, politiche, culturali eccetera eccetera. Quale ruolo, per essere più chiari, possono/devono svolgere le piccole come le grandi redazioni? Quale rapporto può/deve essere stabilito con i “social” e con la “rete”?

Che cosa significa esattamente costruire un giornale (un notiziario radio o televisivo, un sito web) nell’era della tanto citata (spesso a sproposito) disintermediazione? E’ forse venuto meno il compito della verifica delle fonti da parte dei giornalisti? E forse venuto meno il compito della selezione dei fatti (o dei non fatti) in base ad un canone preciso e riconoscibile per ogni singola testata ( i fondamentali valori-notizia)? Solo per citare due aspetti ineludibili del mestiere.

La verità è che se andiamo ad analizzare i metodi di lavoro di moltissime “fabbriche delle notizie”, ci rendiamo conto che sono saltate quello che un tempo erano considerate le “regole”. Il confine tra fatto e non fatto è sempre più sfumato perché si punta più sulla notiziabilità (del fatto o non fatto) che sull’effettiva sussistenza della notizia. Si lavora, cioè, per titoli (anche nelle redazioni, è ovvio). Ed è così che si arriva alle forzature da una parte (le “fabbriche delle notizie) e dall’altra (redazioni, blog eccetera).

Eppure, il nodo da sciogliere – e che nella realtà di tutti i giorni è quasi già stato sciolto (da parte di chi riceve i prodotti delle “fabbriche delle notizie”) – è sempre lo stesso dalle origini del mestiere giornalistico: chi non dice la verità è destinato ad essere messo ai margini, a non essere determinante nel processo di reperimento e pubblicazione delle notizie. Ma due variabili stanno prendendo il sopravvento: la velocità dei tempi di riscontro delle notizie attraverso fonti attendibili e qualificate; la tendenza ad occuparsi e a dare spazio anche al “racconto” delle non-notizie in quanto capaci di coinvolgere un pubblico sempre più ampio proveniente quasi sempre dai “social”. Come se non avesse tanta importanza il fatto che quel bel “racconto” – costruito ad arte – alla fine si rivelerà falso. Racchiude in sé il valore attrattivo di flussi consistenti di utenti/clienti e questo aspetto è sempre più rilevante (purtroppo).

E allora, se entrano in gioco queste impostazioni di base, la partita per tutti quelli che intendono non adeguarsi alle “narrazioni” messe a punto nei “laboratori” dell’info/comunicazione – dove la pasta, la carne, la frutta, il latte o i partiti politici sono semplicemente prodotti da piazzare sugli scaffali dai quali attingeranno i consumatori/elettori – diventa molto difficile. Quasi persa? Forse ancora no, ma il rischio che accada è altissimo.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

@PappalardoE

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