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Il reddito di cittadinanza difficilmente potrà compensare i tagli all’istruzione, ai servizi locali ed alla sanità.
Sud povero? Povera Italia
Nel breve periodo la riprogrammazione dei fondi europei, attuata per evitare la procedura di infrazione, potrebbe significare una riduzione degli investimenti per il Mezzogiorno di 1,65 miliardi (800 milioni del Fondo Sviluppo e Coesione e 850 milioni del Fondo di Cofinanziamento).

di Gianluigi Coppola*

Nel 1990 con il Rapporto sullo sviluppo umano delle Nazioni Unite è stato introdotto ed elaborato  l’Indice di Sviluppo Umano (Human Development Index) per misurare il livello di sviluppo di una nazione o di una regione. Tale indice è un indicatore del concetto di “capacità” (capability) teorizzato dall’economista premio Nobel Amartya Sen, ovvero del livello di possibilità di scelta da parte da parte degli individui di una comunità.   Esso è costruito sulla base di tre variabili: l’aspettativa di vita alla nascita, il livello di salute della popolazione e il grado di istruzione.

Salute e Istruzione, la possibilità di curarsi e di istruirsi da parte delle persone di un territorio, sono riconosciuti e ritenuti gli strumenti principali per uscire dalla povertà e/o per non cadere e rimanere in condizioni di povertà da parte delle persone stesse.

Ciò premesso, è ben noto che nel Mezzogiorno è sempre più difficile curarsi ed istruirsi rispetto al resto del Paese. In termini di speranza di vita media alla nascita (dati Istat, 2017) vi sono 4 anni di differenza tra la provincia di Firenze (84 anni) e quella di Napoli (80 anni). L’ottavo rapporto RBM-Censis sulla sanità pubblica attesta che nel 2016, 258 mila cittadini meridionali (di cui 72 mila dalla sola Campania) sono stati costretti ad emigrare al Centro-Nord per curare le proprie malattie, soprattutto quelle più gravi.

Molti ragazzi meridionali abbandonano gli studi, e sono sempre più numerosi gli studenti universitari che, una volta conseguita la laurea triennale, emigrano per iscriversi ad una Università del Nord e non ritornano più al Sud. Nell’anno accademico 2016/2017, su 685 mila studenti meridionali iscritti a un corso di laurea universitario, circa 153 mila – più di 1 su 4 – hanno scelto di andare a studiare in un ateneo del Centro-Nord (fonte Svimez).

Secondo il rapporto Istat sulla mobilità interna della popolazione residente del 2018, 1 milione e 174 mila persone negli ultimi 20 anni hanno abbandonato il Mezzogiorno per trasferirsi al Centro Nord.

Le recenti scelte del Governo, sia di breve che di lungo periodo, sembrano assecondare questa tendenza piuttosto che contrastarla. Mi riferisco in particolare alla riallocazione dei fondi europei e soprattutto al progetto della cosiddetta autonomia differenziata, meglio ribattezzata come la secessione dei ricchi, proposto dalle regioni del Lombardo Veneto che rappresentano la manifesta volontà di favorire il Nord sacrificando, per l’ennesima volta, il Mezzogiorno. Infatti entrambe le misure comportano una riduzione delle risorse finanziare per il Mezzogiorno, sia in termini di investimenti che di trasferimenti.

Nel breve periodo la riprogrammazione dei fondi europei, attuata per evitare la procedura di infrazione,  potrebbe significare una riduzione degli investimenti per il Mezzogiorno di 1,65 miliardi (800 milioni del Fondo Sviluppo e Coesione e 850 milioni del Fondo di Cofinanziamento). E si tenga conto che i fondi europei hanno un impatto sulla crescita delle regioni del Mezzogiorno più alto rispetto a quello degli altri fondi nazionali.

Il progetto di autonomia o secessione, comporterà certamente un taglio di svariati miliardi in termini di risorse finanziarie alle regioni del Mezzogiorno. Certo, nel 2019 sarà introdotto il reddito di cittadinanza, una politica pensata soprattutto per le popolazioni meridionali. Tuttavia di questa misura conosciamo ad oggi soltanto l’impegno finanziario, ma nulla su come sarà attuata. Il reddito di cittadinanza potrà stimolare i consumi, ma difficilmente potrà compensare i tagli all’istruzione, ai servizi locali ed alla sanità. Le cure mediche e gli esami diagnostici sono molto costosi. Se si regionalizza la sanità e si tagliano i trasferimenti, i cittadini meridionali potranno ancora curarsi negli ospedali del Centro-Nord ? Potranno mantenere il proprio figlio che studierà in una Università del Centro-Nord? Avranno la possibilità di fruire del servizi della sanità e dell’istruzione necessari per non scivolare verso una condizione di povertà?

E ancora, i Comuni delle regioni del Mezzogiorno potranno ancora offrire servizi essenziali alla popolazione senza aumentare i tributi locali? La recente tendenza dell’Agenzia del Territorio di incrementare in modo arbitrario le rendite catastali degli immobili, che sono alla base per il calcolo dei tributi locali (IMU e TASI), sta a dimostrare che molti dei servizi offerti dai comuni possono, già da adesso, essere finanziati soltanto attingendo alla ricchezza privata.

In sintesi, la combinazione tra reddito di cittadinanza, riduzione degli investimenti e taglio dei trasferimenti al Mezzogiorno rischia di aumentare il grado di dipendenza del Mezzogiorno dal Nord e di aggravare le già critiche condizioni di povertà e di disagio dei meridionali. Ma tutto ciò rischia di tradursi nell’impoverimento dell’intero Paese.

*Gianluigi Coppola è ricercatore in Economia-Dipartimento di Scienze Statistiche ed Economiche, Centro di Economia del Lavoro e di Politica Economica-Università degli Studi di Salerno.

 

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