Lo speciale »
di Gilda Ricci
Siamo ai primi del mese di febbraio 2019 e tra pochi mesi gli studenti affronteranno un esame importante che segnerà il loro futuro non solo universitario, formativo ma forse anche lavorativo, seppur per alcuni tra loro, e soprattutto culturale, umano. Ma andiamo indietro di qualche anno, quando anche dalla città di Salerno e da moltissime scuole, associazioni professionali, sindacati, gruppi e movimenti culturali partì una petizione con la quale furono raccolte migliaia di firme per la richiesta, all’allora Ministro dell’Istruzione-Università-Ricerca, di abolizione di un’inutile terza prova, detta anche “quizzone”, che le varie commissioni potevano organizzare anche in modo misto, tra risposte chiuse, multiple o aperte. Poiché risultava – da una statistica dello stesso MIUR – che il 93% degli studenti, pur superando brillantemente sia la prima che la seconda prova scritta ed anche il colloquio orale, naufragavano puntualmente tra le crocette del “quizzone”, la petizione dei docenti ne chiese l’abolizione ritenendola altresì limitata e limitante. Infatti sappiamo bene quanto il pensiero divergente non sempre sia parallelo o incontri quello convergente.
La petizione del 2017 chiedeva anche l’abolizione della commissione composta da membri esterni, con il ripristino di una commissione interna, certamente in grado di valutare, e non giudicare come spesso avviene durante gli esami, gli allievi. Date le esigue risorse del MIUR per finanziare la scuola pubblica, questa scelta, che prevedrebbe la nomina soltanto di un Presidente esterno (non necessariamente un docente o un dirigente scolastico, ma un supervisore anche con competenze amministrative, o docimologiche e tecniche), che possa garantire il rispetto del procedimento durante lo svolgimento delle prove d’esame. Questo sarebbe un reale risparmio per la spesa pubblica, eliminando l’inutile pagamento di membri esterni, con spese molto elevate. Retribuendo soltanto i docenti interni della Commissione d’Esame, nominando un garante- presidente interno al MIUR, si risparmierebbero molte migliaia di euro, garantendo il rispetto delle regole, delle norme, della scuola italiana, dei suoi operatori, degli studenti .Ma come si fa a definirlo ancora esame di maturità? Ma come si fa a chiamarlo di Stato? Quando lo Stato da noi rappresentato si comporta così. Abolito, secondo le esternazione del MIUR, anche il compito di storia e la formula di “articolo” dalla prima prova e non si capisce perché. Nessuno lo aveva richiesto. Poi si pretende che i ragazzi siano preparati in “Cittadinanza e Costituzione “, tematica obbligatoria ma trasversale alle discipline, che non rappresenta una materia d’insegnamento, ma una forma di sviluppo di comportamenti civili per cittadini consapevoli, prevista dallo Stato in base alla L. 169/2008 per 33 ore annue, che i docenti si rimbalzano tra le ore di Lettere e di pochissime altre materie.
Ci mancavano poi le tre buste al colloquio orale che il candidato potrà scegliere e nelle quali sono contenuti argomenti da trattare. Sembra di vedere quei giochi televisivi come “la Ruota della fortuna” e il famoso “Rischiatutto” con docenti trasformati in registi di programmi radio-televisivi. Ma di che cosa parliamo? Di un esame di Stato? Allora serietà innanzitutto, rispetto per docenti e studenti che si preparano per un quinquennio in vista di questo traguardo, che ancora li emoziona e non li fa dormire le notti precedenti e non solo. Tutti vorrebbero semplicemente dare il meglio di sé in quella che molti studiosi pedagogisti definiscono la”performance” di un percorso finale, che segna l’inizio di mille altre strade da percorrere.
Dovrebbero ricordarlo come il giorno in cui l’adrenalina era a mille, gli occhi lucidi e quei dieci caffè per tenersi svegli tra una ripetizione all’alba e un cellulare finalmente spento. Sì, l’Esame di Stato è tutto questo e vorremmo sapere in che modo affrontarlo. Essere tutti preparati, emozionati, tesi, ma non stressati dall’incompiutezza, dalla paura dell’ignoto.
Il 19 febbraio in tutte le scuole si svolgeranno queste nuove simulazioni con nuove griglie, con nuove tecniche di valutazione e di approccio alle competenze, alle conoscenze e alle abilità degli studenti. Come prepararsi ancora non si sa. Il fermento intanto nelle aule delle quinte classi di questo paese Italia, sempre più disorientato cresce a dismisura, da Torino a Palermo, dalle isole ai piccoli comuni.
Ci sentiamo tutti “Dilettanti allo sbaraglio”, per utilizzare altre metafore televisive a conferma della mancanza di ascolto. Un Ministro dovrebbe ascoltare i veri protagonisti del mondo scuola applicando semplicemente le norme, senza modificarle continuamente, ossessionato dal desiderio di emanare nuovi decreti per dimostrare che il riformismo politico corrisponde a quello sociale e didattico.
Le leggi e le riforme, governate da madre Economia, hanno bisogno di un padre che abbia idee che rispondano ai bisogni reali dei cittadini e non solo ai cambiamenti governativi.
“Ai posteri l’ardua sentenza”, che arriverà presto grazie ai tagli alla spesa pubblica, ci auguriamo anche ai commissari esterni, sempre nel rispetto di ciò che ogni scuola, in base alla legge dell’Autonomia ( Legge 59 del 15 marzo 1997 e in vigore dal 199 con il D.P.R. n. 275) tanto bistrattata, non sia una farsa, ma il vangelo laico di una scuola militante e di comunità, che grida coerenza e senso ad ogni azione politica ed economica in nome della Democrazia.
Gilda Ricci