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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Nella recente campagna elettorale è stata diffusa una “narrazione” quasi mai coincidente con il reale contenuto del messaggio.
Se la comunicazione surroga la politica. . .
L’asset dell’informazione è diventato il “pezzo” fondamentale del processo in base al quale – per raccogliere e consolidare il massimo consenso – progettare ed orientare la proposta di leader e partiti/coalizioni.

Si è appena conclusa una delle più brutte campagne elettorali degli ultimi anni. Al di là delle analisi politiche – che pure dovrebbero scendere nel dettaglio di quello che è realmente successo territorio per territorio, soprattutto al Sud ed in Campania – si evince chiaramente che molto è stato giocato (male) sul versante dell’informazione e della comunicazione. La sensazione è che – volontariamente o in maniera non del tutto percepita dagli attori stessi del processo di trasmissione e ricezione dei messaggi e delle notizie – alla fine sia stata diffusa una “narrazione” non coincidente quasi mai (per non dire sempre) con il suo reale contenuto politico. E’ prevalsa, cioè, la semplificazione più estrema: i buoni e i cattivi, il bianco ed il nero, il buono ed il non buono. E’ stata attivata, quindi, una dinamica che non ha dato il minimo spazio all’analisi critica delle tante problematiche sul tappeto; non ha concesso margini alla rappresentazione, per forza di cose complessa, di tanti temi che si rivelano – e si riveleranno ancora di più nei prossimi mesi e anni – cruciali per il Mezzogiorno e per la Campania.

La disintermediazione intervenuta massicciamente nell’ambito del circuito mediatico e la stessa mediaticizzazione dei social – due processi che sembrano solo in apparenza assimilabili – hanno di fatto spostato l’attenzione dai problemi ai “personaggi”, dai programmi ai candidati, da quello che resta dei partiti alle leadership (o presunte tali).

In questo modo si è spinto a votare di pancia e non di testa, al di là – ovviamente – delle sacrosante e inviolabili scelte personali. E’ un fatto, però, che nella testa di nessuno (o quasi) sia rimasta traccia delle proposte che partiti e schieramenti, sebbene in maniera burocratica, hanno dovuto indicare su un pezzo di carta. Tutti ricordano frasi, litigi, citazioni (più o meno sbagliate), battibecchi televisivi, ma in pochi sono in grado a pochi giorni dalla conclusione della campagna elettorale di mettere in fila non più di tre/quattro proposte che differenziano gli schieramenti in campo. Un po’ perché – stringi e stringi – nell’ansia di cogliere più voti possibili differenze vere e proprie non se ne possono individuare quasi più; un po’ perché – ed è questa la motivazione preponderante – è stata scelta la strada più facile dello slogan, delle parole d’ordine, della demonizzazione (spesso inusitatamente rancorosa) dell’avversario (avversario e non antagonista, a conferma dell’immissione di odio incomprensibile in un Paese civile).

In questo contesto sono affogate tutte le ipotesi di approfondire le vere “distanze strutturali” che avrebbero dovuto fare la differenza tra un candidato e l’altro, uno schieramento e l’altro. “Divergenze” che non sono neanche così superficiali: flat tax o tassazione progressiva non sono certo la stessa cosa; articolo 18 e Jobs Act, legge Fornero o no: sono argomenti che in Europa pesano eccome. Vero è che in questo momento, pur di arrivare alla formazione di un Governo, i vincitori sfumeranno ancora tutto lo sfumabile, ma nel loro Dna queste cose ci sono e verranno a galla.

Per il Mezzogiorno si apre una stagione di grande incertezza ed anche in questo caso non sembra – al momento – ravvisarsi un’adeguata ed approfondita descrizione mediatica o non mediatica di questo aspetto.

Sembra, quindi, che l’asset dell’info/comunicazione sia diventato in maniera sempre più pervasiva non il “pezzo” finale del processo di elaborazione della proposta politica, ma il “pezzo” fondamentale in base al quale – per raccogliere e consolidare il massimo consenso – progettare ed orientare la proposta politica. Peggio di così . . .

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

@PappalardoE

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