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Nella prossima campagna elettorale, sicuramente, i candidati ci diranno di dovere “salvare” le loro città.
Se i sindaci dimenticano il futuro e le “MacroRegioni” …
Difficile un’analisi sincera e autonoma delle scelte non fatte in passato, non facendo nascere, negli ultimi venti anni, le aree metropolitane ad elezione diretta. Dove sono le reti di nuovi cluster urbani a dimensione ampia e a valenza di territorio resiliente?

di Pasquale Persico

Su “Il Sole 24 Ore” di domenica scorsa compare una intervista al Sindaco di Milano; i contenuti sembrano non cogliere l’effetto della crisi sulle grandi città e lasciano prevedere un dibattito politico non proprio di alto profilo sul tema del riposizionamento (delle città) che in primavera andranno alle urne; il sindaco di Milano ha “dimenticato” di essere anche il sindaco Metropolitano; ha annunciato che si ricandiderà e illustrato il ruolo centrale di Milano, per l’Italia, tra le global city; non si rintraccia un’analisi sull’arretramento in classifica di  Milano nel report 2020 e non si accenna alla crisi di  queste città globali,  raccontate sempre come città  proiettate verso il  futuro.

Nella prossima campagna elettorale, sicuramente, i candidati – aspiranti sindaci – ci diranno di dovere salvare le loro città, tutte capitali di qualcosa, rivendicando un ruolo insostituibile. A Napoli, per esempio, si parlerà di rilanciare la capitale del Mezzogiorno, a Roma la grande Roma, a Torino la capitale della cultura, a Trieste la capitale-cerniera verso Est; Salerno si presenterà come capitale di se stessa. Sarà difficile, insomma, un’analisi sincera ed autonoma sulle scelte non fatte in passato; ad esempio, non  facendo nascere, negli ultimi 20 anni, le città metropolitane di area vasta ad elezione diretta, come reti di nuovi cluster urbani a dimensione ampia e a valenza di territorio resiliente. Sono nate solo ipotesi di piani strategici come racconti di visioni, spesso senza nessuna ipotesi di nuova governance efficace, legata a obiettivi strategici credibili. Oggi avremmo da raccontare qualche esperienza più incisiva, capace di spingere anche le Regioni ad aggregarsi in Macroaree Europee, poggiate su  EcoRegioni europee, in grado di interpretare al meglio la prospettiva di area vasta ad ecologia sostenibile, resiliente ed inclusiva.

Certo, Milano è una “Gran Milan”, come ha ricordato la  presidente Ue Ursula von der Leyen; ma proprio lei, volendo auspicare una svolta federalista di nuova ingegneria istituzionale europea, ha auspicato un rilancio delle Macroregioni Europee, come grandi aree di coordinamento, tra esigenze delle grandi città e territori regionali moltiplicati.   Si tratta di sviluppare nuove reti tra pluralità territoriali da far vivere con pari dignità in termini di  inclusione ed equità, e accesso ai diritti fondamentali.

L’idea di base per l’Europa è quella di farsi abbracciare da una nuova infrastruttura che chiameremo fiducia, modificando profondamente i meccanismi tradizionali di government multi scalare e di governance orizzontale, utilizzando al meglio principi di sussidiarietà costituzionali, (vedi Costituzione Europea e seconda Parte della nostra Costituzione). E’ un progetto per una  Nuova Patria Plurale, immaginata a Ventotene  e implorata da Camus,  quando  interpreta il paradigma identità e diversità, cioè una voglia di salto di civiltà, dopo la seconda guerra mondiale.

Il dibattito sui fondi di supporto a questa prospettiva, Recovery Fund, sta  trascurando non poco il tema della metamorfosi delle città che perderanno la loro valenza di unica infrastruttura complessa.

Città e Regioni devono essere considerate come territori con confini e competenze flessibili, per essere considerate pivot importanti di infrastrutture multiple, ambientali e di sviluppo, di area vastissima. Riemerge, nuovamente, il concetto di territorio e di potenziale ambientale idoneo ad accogliere popolazioni nella visione nuova della globalizzazione post pandemica.

Vi sono diversi paradigmi dello sviluppo urbano che sono diventati obsoleti ed i nuovi paradigmi sono ancora non specificati: la politica  ritarda ad aprire un confronto lungo, bipartisan, sulla prospettiva complessa che ci attende. Le tematiche emerse, se pur condivisibili, hanno bisogno di ulteriori approfondimenti prima di affrontare il tema delle risposte operative, di progetti esecutivi. “Siamo troppo in ritardo con i progetti” diventa un’accusa generica per negoziare spazzi gestionali da presentare e, forse, già in attesa di essere rifinanziati.

Ma i temi da affrontare sono più complessi di quelli che emergono dalla lettura dei progetti, alcuni sono obsoleti sul piano del futuro di cui parla la comunità europea.   Basta solo citare Bagnoli – o l’autostrada Palermo-Catania –  per capire quando siamo lontani da ipotizzare il nuovo processo da avviare in termini di progettazione per Macroaree Europee. Vi sono grandi temi trascurati per il riassetto del territorio di area vasta, ma c’è il tempo per un cambio di paradigma da condividere e perseguire nei prossimi 14 anni.

Il primo tema trascurato è come rifare il calcolo dei rischi incrociati nelle attività in area urbana e nelle zone a urbanizzazione non diffusa. Molte valenze della prossimità fisica delle attività sono inadeguate e mancano competenze disponibili a sviscerare le problematiche di sottrazione, esempio: quelle dell’abitare, della nuova logistica del lavoro. La sola soluzione del lavoro remoto non ha nuovi codici di comportamento risolutivi.

La seconda problematica è la crisi fiscale degli enti locali e delle città, accanto  alla stessa crisi degli Stati; il debito pubblico non lascia spazio adeguato alle nuove politiche sui beni pubblici universali da ricollocare nel territorio di area vasta (es: medicina territoriale, istruzione e cultura).

La terza tematica è la nuova frammentazione della catena del valore globale dei beni materiali ed immateriali da produrre, già presente prima del virus pandemico, ma che verrà ampliata attraverso le nuove barriere che ostacoleranno i flussi del commercio, degli investimenti, delle idee, della ricerca, delle informazioni e della tecnologia.

Non è scontato che il nuovo clima politico che arriva dagli Usa possa impedire una rivitalizzazione della non cooperazione connessa all’idea di una nuova sovranità produttiva, a partire dal tema delle forniture sanitarie.

La quarta tematica riguarda la sicurezza del poter fare, connessa alla disuguaglianza prodotta nelle aree urbane, che, a sua volta, si è amplificata anche nelle aree remote, spesso in altri continenti.

E’, ormai, evidente anche l’inefficacia delle tradizionali attività nel sociale, sviluppate dagli enti locali e dalle altre organizzazioni di accompagnamento sussidiario. Il differenziale di urbanità tra città, e tra città e periferie è un grande problema in tutto il mondo. L’ idea di nuove smart city assomiglia molto all’idea delle città nuove del primo dopoguerra, con poche idee sulla mobilità ed il benessere diffuso connesso all’equilibrio ecologico.

La quinta tematica riguarda il clima e i servizi ecologici delle aree vaste; per decenni la questione delle regioni ecologiche di riferimento è stata ignorata come priorità di pianificazione intelligente, e, oggi, non si fa altro che raccontare quello che non si è fatto. Oramai la pressione che arriva dal basso, come nuova domanda politica, e dall’alto come avvenimenti catastrofici, non consente differimenti; ma le emergenze portano anche uno spiazzamento delle risorse, con poco spazio per la prevenzione e la manutenzione. Il generico appello alla città resiliente non basta più, occorre vedere in campo  nuovi flussi di popolazione orientata ed attiva su tali temi.

Vi è poi il grande tema della occupazione come bene di merito associato alla partecipazione attiva di tutta la popolazione alla metamorfosi necessaria; questo aspetto come accennato, implica un investimento in fiducia nelle istituzioni: questa nuova  complessità è lontana dai ragionamenti dei partiti. Proprio i partiti in vita hanno poco a che fare con il ruolo istituzionale previsto dalle Costituzioni; essi sono centralizzati per correnti invece che orientati dalla e alla  sussidiarietà attiva sui territori.

Allora? Allora, a partire da Milano, dopo le illusioni di un percorso facile dopo Expo’ 2015, bisogna nuovamente parlare delle città come infrastruttura complessa,  componente di una Metropoli di Paesaggi, anch’essi complessi ed intrecciati (più città e più aree non urbane insieme ed in rete con sevizi evoluti).

Questo significa sapersi riposizionare nelle macroregioni di riferimento come componenti di una rete dove le grandi città  si spogliano della loro alterità per concorrere a dare all’Europa un assetto di Continente Federato in Macroaree capace di cogliere le opportunità della metamorfosi globale.

Aiutare gli Stati a vedere oltre le reti di cooperazione tradizionali per dare al  paradigma identità e metamorfosi  una valenza storica, è il nuovo compito politico della classe dirigente e della popolazione tutta. La cessione di competenze istituzionali va  orientata a rompere i confini della governance inefficace, per dare spazio a nuove reti di cooperazione e coesione orientate da una visione multi/spaziale, in grado di guardare alla nuova fase della globalizzazione; questa ha un volto nuovo, è percepibile come opportunità per cambiare la gerarchia dei beni disponibili.

Per lo sviluppo inclusivo e bastevole occorre sviluppare nuove idee sulla prossimità, sulla sussidiarietà e sulla resilienza dei sistemi; questa è una sfida necessaria e i nuovi leader,  a partire dai sindaci delle città che verranno, dovranno rinunciare anch’essi all’idea di diventare governatori di territori,  per  impegnarsi  a creare nuova urbanità di area vasta. Dovranno dare valore allo spazio come spazio plurale, con una condivisione forte dei temi dell’ecologia profonda; uno spazio di nuova urbanità a sensibilità civica adeguata alla nuova contemporaneità in emersione.

In definitiva, devono fare nascere nuovi sentimenti,  implementare  nuove comunità di destino in cerca di un nuovo territorio dove la città che viene è poggiata su nuovi nodi di senso.

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Pasquale Persico
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