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Salerno Economy XII.03 – 03.02.2023

Che cosa si chiede, oggi, a un comunicatore, informatore, info-comunicatore, realizzatore di eventi che non ha pensato lui?

Deleghe, (deleganti) e delegati, professionisti di “alto livello”

Ogni cosa si propone - anzi: si idea, si testa e, poi, forse si arriva a programmare - senza quasi mai provare a uscire dalla “tracciabilità” e dallo studio dei risultati.
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A prescindere
Proviamo a immaginare il vissuto quotidiano mediamente attraversato e navigato da tanti ragazzi alla ricerca di un primo lavoro, o anche da tanti professionisti alla prese con la sindrome che si sta sviluppando già da un po’ di tempo  e che tende sempre a ridimensionare, a cassare, qualsiasi tipo di attività, sufficientemente sperimentata nell’ambito di una cornice di regole fino a poco tempo fa riconosciuta da tutti. In altre parole, è davvero cambiata l’attività di ricerca che accompagna ogni storia di successo sia dal punto di vista della collocazione nel mondo degli occupati, che della sopravvivenza professionale, nel senso di programmazione di nuove cose da fare, di tanti già sperimentati attori di varie attività che, in qualche modo, cavalcano i processi di info-comunicazione? Nel mondo post-Covid - ma anche questa definizione della fase temporale non può collocarsi in un ambito marcatamente decifrabile - è diventato tutto molto più piatto e omologato. Ogni cosa si propone - anzi: si idea, si testa e, poi, forse si arriva a programmare - senza quasi mai provare a uscire dalla tracciabilità e dallo studio dei risultati che si materializzano e che, in ogni caso, si inseguono. Manca, cioè, lo spunto innovativo che, pure, è (era) alla base di molte attività di lavoranti che, in questo modo, riuscivano a collocarsi in un ampio bacino di offerte che, pure, oscillavano nell’area della creatività abbinata alla comunicazione, in un contesto che, in ogni caso, prendeva spunto dalla complessa interazione con tutto quello che oggi è possibile definire flusso info-comunicativo.
(continua)
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La tendenza è confermata dal Bollettino annuale (2022) del Sistema informativo Excelsior realizzato da Unioncamere e Anpal.

Lavoro, cresce la richiesta di laureati

Ma quasi uno su due è introvabile. I titoli di studio più ricercati? Economisti, indirizzo amministrativo per i diplomi e ristorazione tra le qualifiche.
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Le porte aperte
“Continua a crescere nel 2022 la domanda di personale laureato da parte delle imprese ma quasi in un caso su due la ricerca risulta particolarmente difficile”. La tendenza è confermata dal Bollettino annuale 2022 del Sistema informativo Excelsior (Unioncamere-Anpal): “lo scorso anno la domanda di laureati ha superato le 780mila unità, arrivando a rappresentare il 15,1% del totale dei contratti che le imprese intendevano stipulare, in aumento di 1,4 punti percentuali rispetto al 2021. Il 47% di questi profili, però, risulta difficile da trovare, richiedendo alle imprese una ricerca che può impegnare anche 4-5 mesi”. Va sottolineato che “la difficoltà di trovare laureati da parte delle imprese è persino superiore al già elevato dato medio riferito a tutte le entrate programmate”. Occorre evidenziare che sul piano nazionale “a fronte di una crescita significativa delle entrate previste nel 2022 (5,2 milioni, in aumento dell’11,6% rispetto al 2021 e del 12,2% rispetto all’anno prima della pandemia), il mismatch ha superato la quota del 40% delle entrate complessive, oltre 8 punti percentuali in più rispetto allo scorso anno e 14 punti percentuali in più rispetto al 2019”. In termini assoluti, si tratta di “quasi due milioni di assunzioni nel 2022 per le quali le imprese hanno riscontrato difficoltà, circa 600mila in più rispetto all’anno scorso, ma quasi il doppio (1milione) di quanto evidenziato prima della pandemia”.
Da tenere conto che “tra i titoli di studio i più difficili da reperire sono stati nel 2022 i laureati in indirizzo sanitario paramedico (con una difficoltà di reperimento del 65%), i laureati in ingegneria elettronica e dell’informazione (61%) e quelli in scienze matematiche, fisiche e informatiche (60%), i diplomati in elettronica ed elettrotecnica (60%) e quelli in meccanica, meccatronica ed energia (56%), i qualificati con indirizzo elettrico (57%)”.
(Fonte: unioncamere.gov.it/20.01.2023)
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Utopia? No, progetto di una politica che manca, o solo una modalità di giudizio (senza basarsi sulle apparenze).

Parola-chiave: “hub”, tra Val d’Agri, vecchi e nuovi governi

A proposito del connubio tra innovazione tecnologica e mondo del lavoro per formare nuove competenze e coinvolgere Centri di Ricerca, Enti Locali, Incubatori di start up, investitori, player industriali e Università anche straniere.
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Pasquale Persico
di Pasquale Persico

La parola hub - perno - ha visto allargare il suo impiego a seconda del significato “ampliato”, dovuto all’uso composto. Durante il periodo del Covid, per esempio, l’hub vaccinale era diventato il riferimento del futuro per gli ospedali e la progettazione complementare prevalente. Nelle varie regioni si è assistito alla moltiplicazione degli sprechi nella visione temporanea della medicina di comunità. Il Pnrr ha, poi, moltiplicato i bandi per la transizione digitale parlando di digital innovation hub a proposito degli investimenti per il “trasferimento tecnologico”, favorendo la nascita di competenze eterogenee negli hub progettati. Job education hub, sarebbe dovuta essere l’invenzione capace di rigenerare l’efficacia della simmetria tra domanda ed offerta di lavoro, che ancora oggi è assolutamente fuori squadra.
La presenza della nostra Primo Ministro come portavoce speciale dell’accordo tra Eni e società libica corrispondente, ha visto riapparire la parola hub a proposito di stazione multipla di smistamento del gas libico verso l’Europa, accordo capace anche di stabilizzare i flussi regolari di emigranti dalle tribù libiche. La parola portavoce potrebbe sembrare non del tutto appropriata, ma è stata usata più volte nel passato per il governo Craxi, che godeva di un particolare ruolo di comunicazione nelle stanze dirigenziali del colosso dell’energia. Le sue foto erano in bella evidenza e raccontavano la vita parallela tra politica e giganti dell’economia. Lo stesso governo D’Alema si segnalò in Val D’Agri come governo rispettoso del programma Eni e delle altre società petrolifere presenti.
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“La dimensione estremamente comunitaria riduce anche la solitudine sociale tipica dei grandi agglomerati urbani”.

1,3 milioni di anziani custodi dei piccoli borghi

“Ci sono 5.529 comuni sotto i 5.000 abitanti. Si tratta di realtà che ospitano il 16,5% della popolazione nazionale ma rappresentano il 54% dell’intera superficie italiana”, (analisi Coldiretti su dati Istat).
Green Style agricoltura
Tradizioni
“Le bellezze dei piccoli borghi italiani sono custodite da 1,3 milioni di anziani che combattono lo spopolamento, tramandano le tradizioni, trasmettono i saperi e difendono il valore storico, ambientale e culturale dei territori”. E’ questo il quadro che emerge dall’analisi Coldiretti - in base ai dati del Centro Studi Divulga - in occasione dell’assemblea dei Senior Coldiretti, la più grande associazione italiana di pensionati, “con l’apertura del primo salone della cultura contadina salvata dai Senior”. Nei comuni “con meno di 5mila abitanti, più di uno su otto (13%) - spiega la Coldiretti - ha più di 75 anni con la popolazione anziana che rappresenta una presenza fondamentale per garantirne la vivibilità”. Come? “Se da una parte offrono un sostegno alle famiglie in una situazione in cui è molto più grave la carenza di servizi pubblici rispetto alle altre realtà del Paese, dall’altra contribuiscono a proteggere nel tempo le peculiarità locali”. Va ricordato che “in Italia ci sono 5.529 comuni sotto i 5.000 abitanti, che rappresentano il 70% del numero totale dei comuni italiani. Si tratta di realtà che ospitano il 16,5% della popolazione nazionale ma rappresentano il 54% dell’intera superficie italiana, (analisi Coldiretti su dati Istat)”.
Il 92% delle produzioni tipiche nazionali, quindi, nasce “nei piccoli borghi italiani con meno di cinquemila abitanti, un patrimonio dell’enogastronomia sostenibile e a km zero conservato nel tempo dalle imprese agricole con un impegno quotidiano per assicurare la salvaguardia delle colture storiche, la tutela del territorio dal dissesto idrogeologico e il mantenimento delle tradizioni popolari”.
(Fonte: coldiretti.it/25.01.2023)
(continua)
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