I numeri della manifestazione in corso di svolgimento sollecitano un ampliamento dell’offerta.
Luci d’artista, laboratorio di partenariato
Si conferma la necessità di allargare la rete di “fruitori” dell’evento dal punto di vista della spesa dei visitatori e, nello stesso tempo, di allungare la striscia della loro permanenza.

Il tempio d'artista (Foto Massimo Pica)
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Analisi e divagazioni sul report “I prodotti agroalimentari di qualità 2017” dell’Istat.
Le bufale (e le rose) dei poeti
Dop, Stg e Igp: dalle mozzarelle ai vegetali, la Campania propone 25 beni certificati sui 295 italiani. La provincia salernitana offre già 15 articoli e molte “esclusive”, ma il catalogo è destinato ad ampliarsi con la colatura di alici e la rucola della Piana. E poi?

Prelibatezze campane
Auguri auguri auguri... I cenoni e i pranzi delle feste sono stati soddisfacenti? Sì? Molto bene. Qui non ne parleremo, anche se l’oggetto dell’articolo fa rima con le recenti maratone pantagrueliche. Tutti sappiamo che il cibo italiano è un dato culturale “genetico”, sostanza identitaria capace di farsi ideologia o anti-ideologia. Nei tempestosi anni Settanta, una copertina di Linus assicurava ironicamente che in Italia la rivoluzione è impossibile, perché è sempre “pronto” in tavola. D’altro canto, una tradizione alta tanto diffusa “accetta” la popolarità dei vari Masterchef. Ad ogni modo il valore nazionale è confermato dagli alimenti “certificati”, quelli che una volta erano “solo” gli ingredienti dei piatti familiari. L’Italia è primatista del settore. Nel 2017 l’Istat ha catalogato 293 Dop e Igp più 2 Stg, per un totale di 295 beni sui 1.394 dell’Ue. Molto dietro tenevano Francia (245), Spagna (195), Portogallo (138) e Grecia (106). Dettagli gustosi: la Top 5 include solo Paesi latini e/o mediterranei (70% della cesta) e le 4 economie accomunate nell’acronimo Pigs (maiali), coniato dall’establishment anglosassone per stigmatizzare i deficit finanziari.
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Effetto Prisma. La nuova rubrica di SalernoEconomy dedicata all’analisi delle dinamiche di crescita rintracciabili nei territori del Mezzogiorno.
Modelli di sviluppo e lavoro creato dal basso
La persistente difficoltà dei settori tradizionali riesce a spiegare il trend di precarizzazione in atto. Bisogna interrogarsi se non si stia palesando una vera e propria “ristrutturazione” di media e lunga durata del profilo inerente al sistema economico e produttivo di vaste aree del Sud, tra le quali rientra, senza dubbio, la Campania.

Prospettive
Secondo le più recenti rilevazioni ed a fronte di una progressiva decelerazione del ciclo produttivo internazionale, l’economia italiana vive una preoccupante fase di arresto, determinata dalla contrazione degli investimenti e dei principali parametri economici (Istat, 2018), per giunta accompagnata da un più generale abbassamento del livello occupazionale (-0,6%). Il dato del terzo trimestre 2018, infatti, raffrontato allo stesso periodo del 2017, mette in luce una riduzione del processo di crescita del mercato del lavoro, che si ferma ad un esile +0,8% a livello nazionale e ad un ancor più debole +0,3% nel Mezzogiorno. E la Campania? Molto più seria appare la situazione della nostra regione che, nel medesimo intervallo temporale, registra una frenata ancor più brusca, che si traduce addirittura in un valore negativo del mercato occupazionale, pari al -3,2% (SRM-Confindustria 2018), corrispondente ad una perdita di ben 95.591 lavoratori. In aggiunta, in questo «scenario pericoloso» restiamo pressoché isolati (ad eccezione di Abruzzo e Basilicata, unici bad perfomer), rendendo alquanto accidentato il percorso di risalita che conduce al ripristino dello status quo ante-crisi.
*(Er.Pa.) - Maria Teresa Cuomo (docente di Economia e Gestione delle Imprese presso l’Università degli Studi di Salerno e presso il Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali e Diritto per l’Economia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca) inizia a partire da questo numero della newsletter la collaborazione con SalernoEconomy con la rubrica “Effetto prisma”.
Nel ringraziarLa per il contributo di analisi e di proposta che offrirà ai nostri lettori, Le auguriamo buon lavoro.
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I principi del “Value Management” e le potenzialità ancora inespresse del welfare aziendale.
Labor omnia vincit. E’ sempre così?
Troppo spesso ci si affida esclusivamente alla forza catartica dell’impegno quotidiano e si trascura tutto il resto. Ma è proprio “salvifico” questo atteggiamento?

Luca Iovine
Appartengo, o almeno appartenevo, alla categoria degli stakanovisti, quelli che mettono il lavoro prima di ogni cosa, perché se quello funziona, funziona tutto. Le parole illuminanti di Virgilio - “labor omnia vincit” - non sono, però, riferite al lavoro come lo intendiamo noi oggi nel senso di attività o professione, ma alla fatica intesa come impegno, sforzo fisico e anche mentale che vince ogni cosa. Troppo spesso noi imprenditori o professionisti ci affidiamo esclusivamente alla forza salvifica del lavoro (nel senso moderno del termine) e trascuriamo tutto il resto della nostra vita. Ma è proprio “salvifico” questo atteggiamento? Innanzitutto ho imparato dalla mia esperienza personale che, alla lunga, se vuoi aumentare le tue performance come imprenditore e professionista non puoi dedicarti solo al lavoro ma devi lasciare spazio anche ad altre cose. Se non lo fai ne subisci le conseguenze sia a livello fisico che mentale ed inneschi un processo di invecchiamento precoce (aging).
*Quality Manager
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L’analisi di Legambiente della manovra finanziaria varata da Governo nei giorni scorsi.
Governo, bilancio e tutela ambientale
Manca ancora un chiaro disegno strutturale in grado di valorizzare i percorsi ecocompatibili di crescita economica e produttiva.

Giuliano D'Antonio
Dopo il complesso e difficile percorso di approvazione della legge bilancio, occorre interrogarsi sull’effettiva valenza delle misure adottate dal Governo dal punto di vista della salvaguardia ambientale e dei percorsi finalizzati all’innalzamento della soglia di eco-compatibilità del nostro sistema economico e produttivo. Il tema è di estrema rilevanza e, come spesso accade, non trova il dovuto spazio nella discussione mediatica (e non). Eppure non mancano elementi di preoccupazione, anche alla luce della situazione che si è delineata a livello internazionale con il rallentamento dell’effettiva attuazione degli accordi di Parigi. Alcune segnalazioni vanno assolutamente fatte, prendendo spunto da quanto evidenziato puntualmente da Legambiente, a cominciare dai sussidi diretti e indiretti (non rimossi) alle fonti fossili (16 miliardi). Per proseguire con la proroga di 15 anni nel comparto balneare “senza condizioni per le concessioni in essere, disapplicando la direttiva Bolkenstein ed esponendo l’Italia all’ennesimo rischio di procedura di infrazione europea”. Come pure non si può non rimarcare l’innalzamento della soglia economica sugli appalti senza gara “con il rischio di favorire - sottolinea Legambiente - le organizzazioni criminali e mafiose”.
*Presidente Fonmed (Fondazione Sud per la Cooperazione e lo Sviluppo del Mediterraneo)
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