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Salerno Economy VII.44- 16.11.2018

Una grande confusione regna ancora in quello che resta del partito un tempo erede della sinistra.

Capitale/lavoro, la bussola rotta del Pd

L’incredibile mutazione genetica di una forza politica che non riesce a ritrovare la strada smarrita dopo avere perso consenso e voti nelle fasce di popolazione ora in attesa del reddito di cittadinanza.
Glocal immagine Pd consenso
Parola-chiave? Partecipazione
E’ un problema di contenitore o di contenuti? E’ un problema di rinnovamento della classe dirigente o di ricostruzione di una leadership autenticamente espressa dal basso senza intermediazioni dall’alto? Insomma, di quale male soffre veramente il Pd? Nello “spiazzamento” dei partiti tradizionali e nel momento dell’ondata di “reazione” ad una “rivoluzione” riformista che in Italia (ma non solo) si è travestita da sinistra per attuare riforme di destra, che cosa resta dell’identità che un tempo fu possibile definire socialista (e democratica)? Difficile dare risposte, soprattutto se la prospettiva è quella che si intravede dai territori del Sud. Difficile immaginare un percorso quando la confusione dei ruoli e delle interpretazioni dei ruoli è massima. Difficile immaginare qualsiasi ipotesi di rinascita di un partito completamente svuotato di partecipazione “non indotta”, di partecipazione legata a passioni civiche e voglia di rimettersi a pensare e a macinare politica.
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Anche la grande distribuzione organizzata mostra “segnali di sofferenza”.

La grande frenata del commercio

La Confesercenti: “Tra gennaio e settembre di quest’anno i negozi hanno registrato quasi 900 milioni di euro di vendite in meno rispetto al 2017, la flessione peggiore da cinque anni a questa parte”.
Immagine Shopping crisi commercio
La crisi dello shopping
Il grido d’allarme della Confesercenti rimette al centro dell’attenzione la crisi del commercio ed in particolare delle attività al di fuori del perimetro della grande distribuzione. “Tra gennaio e settembre di quest’anno i negozi italiani hanno registrato quasi 900 milioni di euro di vendite in meno rispetto al 2017, la flessione peggiore da cinque anni a questa parte. Un crollo che ha accelerato la mortalità delle imprese: nei primi nove mesi del 2018 stimiamo che abbiano abbassato la saracinesca circa 20mila negozi indipendenti”. È questo lo scenario che emerge da un’analisi condotta dall’associazione sulla base di dati Istat. “La flessione - si legge in una nota di sintesi - registrata dai negozi nei primi tre trimestri dell’anno (-2% dei prodotti non alimentari) è infatti la più forte dal -2,9% del 2013, all’apice della recessione dei consumi che ha colpito il nostro Paese nel triennio 2012-2014. Una crisi da cui la maggior parte dei negozi ancora non è uscita, registrando risultati lievemente sopra lo zero per le vendite nel 2015 e nel 2016, tornando già in territorio negativo nel 2017”.
(Fonte: confesercenti.it/ 12.11.2018)
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I dati contenuti nella ricerca presentata dalla Fipe sul rapporto tra gli italiani e il cibo.

A tavola? Neanche mezz’ora (in media)

Poco tempo per mangiare. A pranzo si cucina sempre meno. Minuti contati anche per le provviste settimanali: una o due ore al massimo.
Immagine pranzo
Di corsa
Si mangia “alla giornata”: 3 italiani su 4 preparano i pasti giorno per giorno. E a pranzo “si cucina sempre meno, solo 1 italiano su 3 si dedica a questa attività tutti i giorni, mentre per la cena si sale ad una percentuale del 53%”. Manca il tempo “non solo per cucinare ma anche per mangiare: oltre la metà della popolazione dedica in media poco meno di mezz'ora al consumo dei pasti”. E “mangiare fuori casa diventa, quindi, un'occasione anche per riscoprire il valore del tempo: il ristorante viene vissuto principalmente come luogo dove rilassarsi (per il 38,6%), e il 62,5% di chi pranza o cena fuori casa si gode il pasto più di quanto non riesca a farlo tra le mura domestiche”. E il tempo scarseggia anche “per le provviste settimanali: il 48,6% di coloro che fanno la spesa, da soli o in compagnia, dedica agli acquisti da una a due ore alla settimana. Il 50,1% preferisce effettuare spese di piccola entità, acquistando pochi prodotti alla volta, giorno per giorno”. E’ questo il quadro che emerge dalla ricerca presentata dalla Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) nel corso dell’assemblea annuale.
(Fonte: confcommercio.it/ 15.11.2018)
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Tra le conseguenze della lunga recessione si segnala l’ampliamento delle “distanze” sociali con il resto del Paese.

Nord/Sud tra disuguaglianze e “cittadinanza limitata”

Il rapporto Svimez. “Ancora oggi a chi vive nelle aree meridionali, nonostante una pressione fiscale pari se non superiore per effetto delle addizionali locali mancano, o sono carenti, diritti fondamentali in termini di vivibilità dell’ambiente locale, di sicurezza, di adeguati standard di istruzione, di idoneità di servizi sanitari e di cura per la persona adulta e per l’infanzia”.
Svimez Valigia
Divari
Tra le varie conseguenze del lungo periodo di recessione verificatosi negli anni scorsi si registra quella relativa all’intensificarsi del divario tra le varie aree del Paese. La Svimez ha già da tempo segnalato – e, poi, evidenziato, nel corso della presentazione del suo ultimo rapporto – “l’ampliamento delle disuguaglianze territoriali sotto il profilo sociale”, che “riflette un forte indebolimento della capacità del welfare di supportare le fasce più disagiate della popolazione”. La Svimez richiama l’attenzione sugli indicatori riferiti agli standard dei servizi pubblici con particolare riferimento al settore dei servizi socio-sanitari “che maggiormente impattano sulla qualità della vita e incidono sui redditi delle famiglie”. A cominciare dal dato sul grado di soddisfazione dei cittadini per l’assistenza medico-ospedaliera: “al Sud solo 143 mila su 530 mila ricoverati lo sono (il 27%), nel Centro-Nord 566 mila su 1.270 mila (il 44,6%)”.
(Fonte: svimez.it/ 08.11.2018)
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Le “deplorevoli” iniziative in occasione del 35° congresso (15-17 novembre) dell’associazione in programma a Milano.

Se la polemica comprime la libertà

Al di là dell’adesione o meno ai principi dell’agricoltura biodinamica, va preservata l’elaborazione di teorie e metodi di coltivazione eco-sostenibili, tutelando, ovviamente, la volontà di aderirvi o meno.
Foto D’Antonio Giuliano
Giuliano D'Antonio
di Giuliano D’Antonio*

“Non sono d'accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo”. Questo principio – attribuito in maniera controversa a Voltaire – sintetizza la posizione che riteniamo giusto esprimere in merito alla querelle che si sta consumando in occasione del 35° congresso (15-17 novembre) dell’Associazione per l'Agricoltura Biodinamica sul tema: “Innovazione e ricerca, alleanze per l'agro-ecologia”. Un evento che ha ottenuto – è bene ricordarlo – il patrocinio del Politecnico di Milano, del Comune di Milano e della Regione Lombardia. Si tratta di un appuntamento al quale è prevista la partecipazione di rappresentanti di centinaia di aziende e, in qualità di relatori, di numerosi e qualificati docenti e studiosi delle dinamiche del comparto agrario anche a livello internazionale, oltre che di non poche personalità di rilievo istituzionale in Italia ed in Europa. In altre parole: un appuntamento che mobilita notevoli intelligenze ed esperienze e, nello stesso tempo, consente di entrare in contatto con una realtà che esprime un pensiero, una teoria ed una pratica che hanno trovato non secondaria diffusione.

*Presidente Fonmed (Fondazione Sud per la Cooperazione e lo Sviluppo del Mediterraneo)
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