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SALERNITANS. L’abito, il monaco e le recensioni al tempo dei social

di Alfonso Schiavino

Sapete bene cosa significa che l’abito non fa il monaco, un antico granello di saggezza popolare che ci parla dell’apparenza: un tema centrale in epoca di narrazioni, social media e populismi. Secondo voi quel motto accredita una verità strutturale profonda? Oppure nasconde una trappola per gli ingenui? O dipende dalle situazioni?

Il dubbio riemerge per altri versi leggendo su Tripadvisor i commenti delle persone che hanno visitato bar, ristoranti, pizzerie e alberghi di Salerno. I recensori sono tutti italiani, compresi molti concittadini e conterranei.

In generale i post tratteggiano una reputazione quasi buona, sia per il contesto urbano sia per le strutture ricettive. Quasi. Questo avverbio di quantità, utilizzato per denunciare una dose di incompletezza, adombra nella fattispecie alcune inadeguatezze oggettive: quelle che noi stessi autoctoni possiamo avvertire, se non vogliamo corazzarci con la sensibilità dei coccodrilli. Nel bicchiere “un po’ vuoto” gli individui volitivi possono trovare margini per il miglioramento. Il suggerimento viene da un forestiero che, lasciando un albergo, annuncia un probabile ritorno “per capire se fate buon uso delle recensioni”. Il passante consigliava “un pochino di calore umano”. Strano, per una città considerata “solare”. O no?

Vediamo meglio. In effetti i prezzi e l’estetica generano pochi dubbi, anzi, anche se un signore trova “anonimi” molti locali salernitani. Invece l’umore del personale è uno dei 3 aspetti critici, insieme con l’organizzazione e l’accoglienza: temi che attengono alla professionalità. Ecco qualche esempio (i brani virgolettati sono tratti dai post).

In una pizzeria centrale, il titolare indossa “un pantalone a tuta”. In un bar affacciato sul lungomare, molti passanti entrano attirati “dall’estetica del locale con un tocco di design”, ma “i camerieri sono sempre molto approssimativi” se non proprio “scorbutici e antipatici”.

Al ristorante, una donna trova il servizio “un po’ inopportuno” perché ha chiesto “formaggio da spolverizzare” sul piatto ma il cameriere le ha risposto “con un aria di sufficienza che non andava messo”. Un cliente, soddisfatto delle portate, rileva che “i gestori non dispensano di dialogare tra loro sull’andamento della loro attività”. In un ristorante diverso, un ospite annota che “non siamo stati presi in considerazione”; un altro stigmatizza vari disguidi, fra cui “una prenotazione online non gestita”, una “comanda” smarrita e una giustificazione finale: “Ci viene detto che, poiché quel giorno pioveva, non si era previsto di lavorare”.

Un ristorante (zona stazione) attira come “unica pecca il cameriere che ti sorveglia a vista in attesa che tu finisca il piatto”. Giudizio ripetuto da un cliente diverso: “Personale gentile anche se a volte un pochino invadente (ti guardano mentre mangi)”. Una donna descrive una serie di scenette, compresa questa: “Una famiglia entrata per far mangiare il bimbo ha dovuto litigare per non pagare per tre invece che per uno”. Ecco la sua raccomandazione: “Insomma signora all’ingresso si stampi un bel sorriso in faccia, impari ad avere a che fare con le persone e ad ingoiare qualche rospo ogni tanto”.

Fatto strano: pochi gestori rispondono alle critiche. Meglio così, forse, perché, anche quando la cucina è buona, lo stile comunicativo delle repliche può essere discutibile. Una trattoria colleziona recensioni entusiaste onnicomprensive: qualità, accoglienza, costo. Quando un tizio si lamenta per il conto, il titolare gli si rivolge così: ha pagato “forse neanche 10 euro (ho esagerato), non si offenda, ma per essere meno ‘cari’ bisogna andare forse alla mensa dei poveri”.

Del resto i turisti non sono sempre spendaccioni (alcuni arrivano con le offerte di Groupon) e i post sono scritti abbastanza male (anche quelli che si lamentano dei servizi altrui!). La precisione non è massima. Un signore, trovandosi a Mercatello, spiega che “siete praticamente in centro di Salerno”; un altro vanta i serramenti di un albergo sul Corso (zona pedonale) perché non si sentono i rumori del traffico. Una donna definisce il castello di Arechi “bellissima struttura proprio al centro di Salerno”. Altri visitatori chiedono informazioni sui supermercati aperti (“Cerca su google” risponde saggiamente qualcuno) oppure consigli variegati – “Meglio alloggiare a via Portacatena o a via Santi Martiri se vengo in treno?”, “Quale mezzo pubblico per andare a Pompei?” – che manifestano una notevole non-conoscenza delle risorse digitali dedicate, mappe e portali. Una signora di Cinisello recensisce un pranzo in un ristorante del centro storico “incontrato per caso, ci ha attirato lo stile del locale”: esperienza ottima, “cuoco eccezionale (direi per niente salernitano…)”. Chissà poi perché.


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