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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Per quanto si vede, si ascolta e si legge, pare proprio che non ci sia alcun modo di trovare una soluzione.
Presenza e assenza, la “favoletta” dei buoni e cattivi
Su tanti “palcoscenici” si procede alla diffusione di notizie (poche e sempre le stesse) e commenti (molti e politicamente sferzanti, se non oggettivamente cattivi e umilianti). Diventa difficile recuperare il senso di un “racconto” corretto, legato sempre al rispetto delle persone di cui si parla.

“Ci trattano come vogliamo essere trattati: noi odiamo la verità, ce la nascondono; vogliamo essere incensati, ci incensano … Così la vita umana non è che una perpetua illusione: non si fa che ingannarsi e adularsi a vicenda. Nessuno parla di noi in nostra presenza come ne parla in nostra assenza …”. Queste parole di Blaise Pascal (Pensieri, fr. 783), a riflettere bene, ricostruiscono – sebbene immersi in tutt’altra dimensione – tanta parte di che cosa si avvera nel circuito delle persone chiamate a frequentarsi non per sintomi di spontaneità, ma soltanto per pure e semplice “convenienza” di vario genere. Insomma, la socialità, l’aspirazione a circondarsi di un “pubblico” accondiscendente, di fatto, in pochissimo tempo, crea una “platea” conforme alle indicazioni che il soggetto protagonista – consapevolmente (o inconsapevolmente, accade davvero poche volte) – mette in campo. Senza, va detto anche questo, neanche troppo rifletterci. E’ la sindrome che affligge  personalità, in qualche modo, aduse all’esercizio di una qualsiasi forma di “potere” e che costringono tutti coloro che hanno un qualche tipo di relazione con loro – molto spesso concretamente solida – a tenerne attentamente conto. Questa propensione, in tempi di “restrizione” evidente dei rapporti tra le persone a causa del motivo predominante di origine pandemica, invece di assumere meno rilevanza, come, pure, è sempre auspicabile, si è andata delineando con sempre maggiore chiarezza, fino – addirittura – a “restringere” il “campo” di azione dei soggetti più adusi a questo comportamento.

Ma, se allarghiamo per un attimo l’ambito della riflessione, è abbastanza evidente che il punto sostanziale risiede nell’affermazione: “Nessuno parla di noi in nostra presenza come ne parla in nostra assenza …”. E’, in effetti, proprio l’assenza a determinare l’approfondimento sul soggetto di cui si entra nel merito, senza, ovviamente, risparmiare ogni “verità” fino a quel momento taciuta.

Se ci spostiamo sui tanti palcoscenici attraverso i quali si procede alla diffusione di notizie (poche e sempre le stesse) e commenti (molti e politicamente sferzanti, se non oggettivamente cattivi e umilianti), ci rendiamo conto che diventa difficile recuperare il senso di un “racconto”, sebbene pungente, in definitiva corretto e legato sempre al rispetto delle persone di cui si parla. Viene da chiedersi perché si è giunti in maniera inarrestabile a una deriva che non è affatto semplice arginare o moderare. L’ambizione di attrarre flussi di ascoltatori/lettori/telespettatori sempre crescenti è senza dubbio una delle corsie preferenziali per provare a capire l’origine di un fenomeno che nel tempo, negli ultimi anni per essere precisi, è diventato a tal punto dominante da costituire la fortuna non solo editoriale di tanta parte della vasta platea giornalistica e politica (e non solo) che affolla testate e canali televisivi. Si potrà, prima o poi, invertire questa tendenza così diffusa e inseguita dalle varie fasce di pubblico in perenne ascolto? Possibile che la caccia ad un modo positivo di interloquire con fatti e persone, oggetto a dir poco di critiche severe e offensive, sia destinata a continuare in forme sempre più volgari e cattive?

Per quanto si vede, si ascolta e si legge, pare proprio che non ci sia alcun modo di trovare una soluzione. Eppure la “favoletta” dei giusti e dei buoni pronti a seguire la propria indole è ancora in giro per essere sempre raccontata.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

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