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Circa un anno fa uno studio della Bers (Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo) delineava perfettamente lo scenario reale.
Poveri più poveri, solidarietà valore da tutelare
L’Italia è il Paese (su 32 in Europa più gli Stati Uniti) nel quale il calo del reddito ha “colpito” di più quelli che guadagnano di meno rispetto a quelli che guadagnano di più. E ora si indeboliscono i fermenti più autentici di solidarietà dal basso.

di Giuliano D’Antonio*

Si corre sempre il rischio – a cavalcare strumentalmente (o meno) l’onda dei numeri – di perdere di vista il contesto generale. Si parla sempre più spesso di reddito, Pil, investimenti, debito pubblico eccetera eccetera. Ma, in realtà, non si dedica abbastanza spazio al monitoraggio della qualità della vita delle persone e delle famiglie. A prescindere dal ritornello crisi/non crisi, crescita o recessione, si stenta a mettere a fuoco il ritratto della gente in carne ed ossa che ogni giorno affronta la quotidianità. Perché è solo in questo modo che si entra in contatto con una crescente fascia di disagio sociale che è già sfociata nella povertà relativa ed assoluta. Il dramma che si sta consumando, soprattutto nelle regioni meridionali, è gravissimo. E la risposta è inadeguata.

Nel ciclo della crisi recessiva il Pil è arretrato di 10 punti percentuali, la produzione industriale del 25%, gli investimenti di oltre il 30%, la produttività del 10% ed il tasso di disoccupazione (media/Italia) è praticamente raddoppiato. Ma il punto ancora più critico è un altro. Sull’inserto economico del Corriere della Sera di lunedì 10 luglio 2017 (a firma di Federico Fubini) fu pubblicata l’anticipazione di uno studio della Bers (Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo) che evidenziava alcuni aspetti della recessione italiana in grado di dare il senso di quanto accaduto realmente in termini di ricadute sociali, oltre che strettamente economiche.

L’Italia è il Paese (su 32 in Europa più gli Stati Uniti d’America) nel quale il calo del reddito ha “colpito” di più quelli che guadagnano di meno rispetto a quelli che guadagnano di più. Lo studio della Bers evidenzia, quindi, una chiara dinamica di aggravamento della condizione degli ultimi rispetto ai primi: tra il 2007 ed il 2012 il reddito del 10% degli italiani che guadagnano di meno è diminuito del 27%, mentre il reddito del 10% degli italiani che guadagnano di più è regredito soltanto del 4%. Tra ricchi e poveri le distanze si sono allargate in una maniera non rintracciabile altrove.

Le conclusioni che traeva Fubini in seguito ad un’ampia ed articolata disamina confermano la sostanziale immobilità dell’ascensore sociale, fortemente rafforzata dal ciclo recessivo con gravissime penalizzazioni per le fasce giovanili alle prese con tassi disoccupazione inquietanti soprattutto nelle regioni meridionali. “Che i ricchi preservino i loro redditi – scriveva Fubini – quando un sistema (quello italiano, ndr) del genere entra in recessione – mentre i poveri no – segnala che i redditi dei primi spesso sono rendite. Non corrispondono a un genuino valore creato per la società”.

Insomma, le disparità in Italia sono molto radicate e diffuse. Ma che adesso sotto i nostri occhi si consumi il rilancio di un modo di rapportarsi agli ultimi francamente insostenibile, è anche una conseguenza  dell’attribuzione delle cause dell’aumento della povertà e della diminuzione di reddito degli italiani ad un flusso di persone che, invece, fuggono dalle guerre e dalla tragedia della fame.

Affrontare il problema dei migranti con il paraocchi della crisi economica occidentale è un incredibile errore di conoscenza della realtà e, nello stesso tempo, un ingiustificato attacco ai valori di tantissimi italiani che credono nella solidarietà e nell’impegno civile in prima persona, senza delegare o aspettare l’intervento degli altri.

*Presidente Fonmed (Fondazione Sud per la Cooperazione e lo Sviluppo del Mediterraneo)

Foto D’Antonio Giuliano
Giuliano D'Antonio
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