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di Pasquale Persico
Con l’incontro con lo scrittore Erri De Luca, il Cardinale ha voluto confermare la sua voglia di ricerca della sussidiarietà necessaria ad affrontare la lunga transizione di difficoltà che Napoli vive come città con istituzioni poco efficaci, anche quelle di fede. L’iniziativa è meritevole e si sovrappone ad altri mille percorsi pastorali orientati dal fare piuttosto che dal dire. Questa volta, nella cattedrale della città, si é alla ricerca di parole originali, capaci di illuminare e decodificare il Nuovo Sacro di cui la città ha bisogno, per accompagnare l’urbanità condivisa. L’intellettuale è interrogato per riconoscere le parole d’ordine e d’amore per la città in disordine. Non un ordine biologico – che pure aiuterebbe a guardare il potenziale ambientale ancora in rete, unico riferimento per uscire dalla crisi dei rifiuti, delle marginalità, del turismo a voracità indeterminata – ma un insieme di segni, simboli, riti capaci di guidare la ricomposizione del mosaico sociale e territoriale impazzito.
Ancora una volta l’intellettuale si allontana e si avvicina alla Napoli del vissuto; la racconta come vissuto altrove, tra le città del Sud, parte del continente geografico – il Mediterraneo – che è il suo continente contenitore storico e culturale, oggi euromediterraneo a cui l’Europa aggrappa il suo futuro.
Ancora una volta lo scrittore dirotta su Napoli una frase di Ezechiele profeta su Gerusalemme assediata: “Le (la) città sono la pentola e noi siamo la carne”. Il laico non credente confessa che per acquisire consapevolezza su Napoli ha dovuto leggere testi sacri ed in simmetria di parole, il Cardinale ribadisce che anche lui, per capire del nuovo sacro necessario alla città, sta facendo un’operazione di ricerca infinita, laica come metodologia, in termini di ecologia della mente: vuole incontrare tutta la città con tutte le sue spine per abbracciarla nuovamente senza la paura di poter sanguinare.
E’ questo il motivo per cui il Cardinale chiede a Erri De Luca e agli altri intellettuali laici e cattolici, da invitare, di dialogare su Napoli e per Napoli città metropolitana ed euromediterranea. Allo scrittore chiede con insistenza, a lui, che vede Napoli sotto osservazione come una controfigura di Gerusalemme, chiede: perché i colori del secondo arcobaleno – QUELLO NAPOLETANO – sono più sbiaditi del primo, quello di Gerusalemme?
Lo scrittore non risponde, ancora una volta suggerisce di diventare vagabondi della ricerca per trovare nel viaggio la risposta giusta; il Cardinale è paziente, però ha bisogno di sussidiarietà immediata, veloce, dialogante con le parti della città impazzite, con le istituzioni impotenti, con la laicità infelice delle scuole. Il nuovo sindaco è arrivato, ma la città è immobile.
Napoli non è un centro, ribadisce lo scrittore e non è più un giardino cosmico da connettere al paradiso.. Fioriscono le citazioni ed il pubblico in ascolto sa ritrovarsi solo nelle parole della musica amica, oggi non più bastevole, nemmeno nelle pause di riflessione. Il dialogo, però, riprende, diventa beneaugurate, la ricerca è dialogante e parallela, allo stesso tempo.
I temi della sussidiarietà si moltiplicano, ma per un momento accantonati, il Cardinale e lo scrittore parlano delle loro missioni, entrambe sacre, a diversa valenza . La città diventa nuovamente un’opportunità di ricerca per entrambi. La città territorio abbandonato (la parola in francese friche, rende meglio l’idea del tipo di abbandono, una maledetta palude) diventa opportunità, tutti pensano che si dovrebbe far di meglio, e di più.
Il concetto ecologico di climax orienta la costruzione di un possibile saper fare. La natura, il divino e il cosmico – con l’uomo – nuovamente insieme, ecologia della fertilità, poggiata sul territorio vasto. Le parole non volano più, si posano a poco a poco negli spazi sempre liberi della cattedrale della città in movimento; la cattedrale diventa memoria infinita di un sistema informativo ultra complesso, abbraccia tutte le chiese abbandonate, anche quelle non cattoliche. La città nuova non è una visione lontana, appaiono standard immateriali e fondativi.
Sarà possibile stabilire un territorio condiviso di lavoro, mischiare le missioni laiche e le missioni sacre? Il Cardinale ha il coraggio di dire sì, è disposto, con la sua chiesa, ad una metamorfosi di identità, necessaria per la ripartenza della città; l’intellettuale rimane incerto, è ancora pieno di parole da raccontare.
Lo scrittore sa che mille discipline devono entrare in campo per affrontare il lavoro di ricerca delle parole giuste, quelle capaci di fare della diversità delle culture che interpretano la città di Napoli un oggetto privilegiato di riflessione ed ispirare nuovi comportamenti. Il miracolo di San Gennaro dovrà avere altri significati, deve provocare emozioni e raccomandazioni ancora più penetranti, e ipotizzare perfino catastrofe necessarie.
Allo scrittore errante non possiamo fare domande complesse, ma, se le facciamo, dobbiamo sapere che lui le troverà solo come risposte letterarie, troppo breve è il suo tempo per il comportamento necessario.
Il cambiamento è sostanza, ha bisogno di un impegno infinito, di un progetto morale di larghissimo respiro. Per fortuna il progetto morale è coincidente sia nella versione cattolica che in quella laica, è il progetto che realizza beni materiali ed immateriali anche per gli altri, la città ci manca nuovamente, allunghiamo lo sguardo, usciamo dai confini della nostra mente.
Chiediamo aiuto ai vulcani, essi sono più generosi della pandemia che ci avvolge, sanno che cosa è la sottrazione addizionante e sanno parlarci dell’ecologia della fertilità, essi hanno fatto prendere forma ai lagni.
La maledetta palude, un settimo paesaggio, un potenziale straordinario dove attrarre popoli in fuga, dove far vivere mille città d’amore; e, noi, dopo, che abbiamo fatto?

Pasquale Persico