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L’autonomia differenziata di scala regionale (al Nord) riapre la riflessione sul destino del Meridione (e del meridionalismo).
Macroregioni europee o “Mezzogiornismo” crescente?
Il sistema-Italia deve prendere coscienza che l’allargamento dei mercati (globalizzazione o altro) implica una necessità (ri) organizzativa basata sull’implementazione di economie di scala o di scopo in tutti i territori (Sud compreso).

di Pasquale Persico

Il probabile – ormai – approdo all’autonomia differenziata delle regioni del Nord, oltre a generare altre domande di autonomia differenziata da parte di altre regioni, ha risvegliato il coro dei “neo-Mezzogiornisti”. Gli studi della Svimez, le convinzioni meridionaliste di Adriano Giannola ed il bel libro di Gianfranco Viesti sui diritti “differenziati” per famiglie ed imprese del Sud fanno da sfondo alle voci che reclamano ancora una volta la necessità di una revisione della politica per il Mezzogiorno ed anche la riattivazione del Ministero per il Mezzogiorno (un vero e proprio inganno rispetto alla politica economica necessaria). Per quanto mi riguarda, posso solo ricordare che ho sempre manifestato il mio dissenso contro la nomina di un Ministro per il Mezzogiorno, perfino  quando a Napoli fu convocata la prima assemblea della “Cosa 2”. In quella circostanza mi accorsi della debolezza e  della vaghezza di una tale prospettiva politica e protestai per l’istituzione di un “Dipartimento per il Mezzogiorno” dell’eventuale nuovo partito. Ecco, allora, che la progettualità possibile ha trovato sempre o mediazioni senza sbocco attuativo o – addirittura – meccanismi selettivi impropri: in definitiva un ghetto politico da rigenerare a turno nelle alchimie delle nomine governative.

Una proposta operativa, nello spazio della politica economica dell’attuale governo, sarà sempre legata ad una dimensione di temporaneità ed in rapida obsolescenza per negligenza istituzionale; il Sistema Italia deve prendere coscienza che l’allargamento dei mercati (globalizzazione o altro) implica una necessità riorganizzativa tale da dover ricercare economie di scala o di scopo in tutti i territori;  il vantaggio dei sistemi di aree vaste realmente competitivi viene rafforzato solo se si ha contezza del livello di integrazione già raggiunto nelle reti relazionali e di mercato esistenti a livello globale (vedi il caso Brexit).

Per raggiungere questi risultati bisogna tentare di congiungersi necessariamente a traiettorie tecnologiche che a livello internazionale garantiscono possibilità competitive nelle quattro aree dove si realizzano le sfide di mercato (biotecnologie; nuovi materiali; Ict e aerospazio; risorse rinnovabili ed ambiente). Dovrà essere, inoltre, accettata un’altra sfida: rigenerare ed aggiornare tecnologicamente anche i settori dove l’Italia appare attualmente più specializzata (biomedicale, meccanica, moda e turismo).

Se l’Italia non ci crede fino in fondo perderà in partenza e il tema Nuova Europa ritornerà in campo come ritornello fuori tempo.

La partita su questi terreni di gioco dovrà essere affrontata con l’ Europa delle macroregioni attraverso la nascita di una politica economica Ue per la città e le aree complementari, e questa politica è assolutamente necessaria, sebbene sia ancora da elaborare in maniera percepibile.

Pur essendo soltanto richiamata in alcuni documenti ufficiali, la strategia delle macroregioni può costituire una diversa tipologia di “mezzogiornismo”, perché ragiona per sistemi complessi e reti relazionali aperte che rompono i confini operativi dello schema per nazioni e regioni esistenti.

L’Europa delle regioni – con una nuova soggettività politica ed istituzionale –  può e deve essere l’Europa a più voci, capace di esprimere una visione oltre il confine geografico con nuove aperture verso i continenti che chiedono collaborazione e che in definitiva sono attratti dal know how localizzato nella “vecchia” Europa (Mezzogiorno incluso).

E’ urgente, quindi, chiudere il percorso del “mezzogiornismo” tradizionalmente inteso e aprire i nuovi scenari di una società aperta, dove anche il Nord autonomista sarà costretto ad intuire la trappola dell’autonomia intesa come progetto politico miope perché incapace di puntare sulla governance multi-scalare  ed  intergenerazionale, più competitiva della governance regressiva che ispira l’attuale politica economica governativa, orientata a differire il consolidamento di una nuova politica economica europea.

Foto Pasquale Persico
Pasquale Persico
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